Prendere coscienza del fenomeno degli abusi è il modo più onesto e responsabile – oltre che autenticamente cristiano – per studiare e mettere in opera una terapia di guarigione.  Considerarne i vari aspetti e sfumature è un ulteriore passo in avanti.

Quando si parla di abusi nella Chiesa, l’immaginario collettivo pensa normalmente e solo alla pedofilia.

Il fenomeno, per quanto riprovevole, non esaurisce le aree di bonifica morale nelle quali occorre intervenire e di cui si è giunti a onesta consapevolezza, più che in altre istituzioni. 

Il fenomeno degli abusi è complesso, tentacolare, mefistofelico per i suoi effetti distruttivi sulla persona dell’abusato e, sotto certi aspetti, dell’abusatore.

Nel 2021  Dysmas De Lassus ha pubblicato un saggio interessante sul cosiddetto abuso spirituale che è la mania spasmodica di alcuni confessori o superiori religiosi di impossessarsi della coscienza delle persone.

Nell’abuso spirituale una persona, una guida, un direttore spirituale o un superiore religioso si arroga delle prerogative divine, crede e fa credere di essere l’interprete della volontà di Dio. 

Il “guru” si fa portavoce di una supposta “voce di Dio”, eliminando la coscienza dell’individuo e si ritrova dunque nella facoltà di chiedere qualsiasi cosa, anche contrarie alla morale e al bene.

La storia recente ha mostrato come potessero essere inseriti tra i soggetti più attivi e perversi dell’abuso spirituale alcuni fondatori di nuovi istituti di vita consacrata, sia maschile che femminile.

Consapevoli dell’ingenuità popolare, questi soggetti hanno profittato dell’associazione mentale tra fondatore e santo, come fosse un automatismo, per abusare di fiducia e autorevolezza. 

La realtà e il discernimento della Chiesa è ben diverso. 
S. Benedetto, S. Francesco, S. Chiara, San Giovanni Bosco… sono stati sì dei fondatori, ma la loro virtù ed ecclesialità è stata prima provata e poi lodata.

Riuscire ad aggregare giovani uomini e donne, grazie ad espedienti umani di cui si è dotati, dalla sostituzione messianica alla promessa escatologica, non è santità.

Gli studiosi e i giudici, oltre all’abuso sessuale e “spirituale”, considerano oggi anche l’abuso “materiale” tra le derive di alcuni soggetti “carismatici”.

La rivista internazionale di teologia Concilium, considerata progressista da alcuni ambienti, nel suo ultimo numero ha dedicato una monografia sugli abusi nella Chiesa

Rielaboreremo il saggio del filosofo filippino Rhoderick John S. Abellanosa, dal titolo L’elitismo ecclesiastico e l’ambivalente teologia dei beni temporali della chiesa. 

Nel “mondo alla rovescia”, il topos narrativo usato e abusato dai conservatori e tradizionalisti è di logica consequenziale che anche una rivista un tempo considerata progressista da alcuni ambienti, si mostri in fondo più cattolica e profetica di molte altre riviste sedicenti apologetiche e tradizionali di oggi.

Il dr. Abellanosa si pone questa domanda: la critica degli abusi e del clericalismo nella chiesa potrà mai avere un impatto decisivo se non arriverà a toccare una questione di vecchia data com’è l’associazione fra chiesa e ricchezza? 

L’atteggiamento clericalista-elitarista è sempre esistito nella storia di alcuni, oggi però, la civiltà in movimento essendo spasmodicamente consumista, è ingorda di pecunia. 

Potere e finanza vanno a braccetto, così come la corruzione per l’impunità sono ingranaggi che si lubrificano con i soldi.

Premesso che le temporalità sono un diritto nativo e legittimo della Chiesa, il canone 1254 § 2 prevede tuttavia che i fini dei beni ecclesiastici siano principalmente: «Ordinare il culto divino, provvedere a un onesto sostentamento del clero e degli altri ministri, esercitare opere di apostolato sacro e di carità, specialmente a servizio dei poveri». 

Dieci anni fa si scoprì che il fondatore di un istituto religioso francescano di diritto pontificio, adulterò il concetto di “povertà in comune” a fini strumentali intestando tutti i beni della congregazione a un’associazione pubblica di diritto privato.

Abusando della sua autorità morale cambiò la compagine sociale riservata fino a qual momento esclusivamente ai religiosi e inserì laici di sua fiducia.  

La nuova finalità statutaria della destinazione dei beni ecclesiastici non fu più l’istituto stesso con le sue opere, ma lo “spirito” (materialista) del fondatore.

Il trigger per la modifica statutaria fu la perdita dell’autorità canonica del fondatore come superiore generale, poiché il suo Istituto fu commissariato per degli abusi di diversa natura attribuibili sempre a lui.

La Scrittura afferma: «Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). 

Un’ermeneutica radicale di questo passo può portarci ad affermare pure che dove sono i tesori [della Chiesa], lì vi sarà anche una propensione all’abuso.

Dire “associazione” è un modo pudico di descrivere ciò che, in verità, a volte, è una vera e propria ossessione di molti membri della gerarchia: finanze, investimenti materiali, donazioni, sovvenzioni, beneficenza e tante altre forme di attività finiscono per arricchire la chiesa o i suoi ministri. 
Non è necessario spiegare che nella maggior parte degli abusi, se non in tutti, sono coinvolti denaro, proprietà o un individuo ricco. 

Proprio per questo, nel corso delle indagini, dell’esame e della critica degli abusi sessuali del clero, è emersa un’inevitabile associazione degli abusi con l’elitismo e l’influenza temporale della chiesa. 

Questo spiega anche il recente rescritto al Dicastero per la Dottrina della Fede pervenuto da un vescovo filippino monsignor Julito Cortes, vescovo di Dumanguete sulla conciliabilità tra Chiesa e massoneria

Persino nelle opere di letteratura sia divulgativa che accademica si parla della triangolazione tra abuso, elitismo e ricchezza.

Quando papa Francesco ha associato gli abusi clericali all’elitismo, ha espresso in termini semplici ciò che è stato studiato e criticato ampiamente nel corso degli anni: il rapporto tra gli abusi all’interno di un’istituzione e le abbondanti risorse che questa possiede. 

Gli abusi accadono, prosperano e sono persino protetti da un’organizzazione che comporta poteri e privilegi difficili da mettere in discussione perché strettamente legati alle più ampie reti di controllo sociale rese possibili da proprietà, investimenti, donazioni e partecipazioni societarie. 

Nella conclusione del suo libro, Per una chiesa serva e povera, uno dei padri del Concilio, il domenicano Yves Congar sottolinea che la chiesa «è chiamata a rompere nettamente con le vecchie forme della sua presenza nel mondo, retaggio di tempi in cui controllava la mano che portava lo scettro, e a trovare un nuovo stile di presenza in mezzo agli uomini». 

Egli esplica il senso della gerarchia quale servizio, inteso nel suo senso scritturistico e nel suo sviluppo storico. Esso è radicato nella persona stessa di Gesù che, secondo la fede che professiamo, è Dio che ha assunto la forma di servo. 

Nei documenti della gerarchia o del magistero i poveri sono diligentemente menzionati come soggetti dell’“opzione preferenziale” della chiesa, ma, in realtà, pochi laici ricchi hanno maggior peso specifico della massa, in quanto reclamano di rappresentare i laici in termini di processi decisionali.

Da un lato la chiesa invita le persone ad essere caute nel loro atteggiamento nei confronti delle ricchezze e persino a essere critiche nei confronti delle attività oppressive del mercato capitalista, ma, dall’altro, non solo gode dei frutti dell’intraprendenza capitalista, bensì partecipa in prima persona a varie attività redditizie. 

Molti vescovi e presbiteri sono ovviamente associati ai ricchi e le attività della chiesa continuano a prosperare grazie alle donazioni e alla beneficenza di chi detiene il potere. 

Nonostante i tanti discorsi su come diventare una chiesa povera per i poveri, essa continua a lottare con molta difficoltà per distaccarsi o rinunciare alla sua ricchezza. 

La necessità di una critica della teologia dei beni temporali della chiesa è argomentata attraverso queste tre posizioni interconnesse: 1. le proprietà della chiesa continuano a fungere da ponte verso l’élite economica della società; 2. l’interesse e, ancor più, l’ossessione per i suoi beni temporali rafforza l’elitismo ecclesiastico che si nutre di privilegi, ricchezze e potere; 3. l’elitismo fa sentire in diritto di compiere qualsivoglia azione e di essere esenti da giudizio e da ciò deriva la perpetuazione degli abusi in varie forme, sessuali, finanziari, psicologici e anche spirituali. 

Il clericalismo è solo un sintomo di una patologia più grave che è quella comodità o il sentirsi a proprio agio con privilegi, ricchezze, titoli, autorità, influenza e potere. 

Nel suo insieme parliamo di una chiesa che si crede speciale. Certamente non è facile riformare un’istituzione che esiste da millenni e i cui beni temporali hanno fatto parte della sua missione. 

Applicando la teologia congariana della tensione tra potere e povertà nella Chiesa, è nientemeno Gesù stesso che si pone come pietra d’inciampo di una chiesa che si è allontanata dai valori originari del suo fondatore. 

La critica di Congar alla fascinazione ecclesiastica per il potere e la ricchezza, o almeno di alcuni suoi membri, è un nobile invito a tornare all’essenza del vangelo, al centro del quale c’è la persona di Gesù.