Il 22 maggio 1873 moriva l’autore dei “Promessi Sposi”. Il suo genio sta dentro i dettagli e la capacità di rendere indimenticabili anche i personaggi senza nome. Di formazione illuminista e autentico interprete del Romanticismo, il Manzoni lascia l’eredità di un’opera letteraria che abbina fede e ragione, proponendo un cristianesimo come fattore di riscatto sociale e civile.

Il messaggio morale e civile della sua feconda opera letteraria non si esaurisce nel romanzo de’ I Promessi Sposi, ma trova ulteriore consacrazione anche nei testi poetici,

La Pentecoste è l’ultimo degli Inni Sacri del poeta milanese che si distingue per un passo in avanti nell’alterità.

Figlio del Romanticismo, precorre l’esigenza di alterità che emergerà proprio dopo gli orrori del Novecento.

Come termine di riferimento sostituisce l’Io con il Noi

Esprime in modo particolarmente sentito il senso umano e mistico della liturgia, nonché il carattere profondamente benefico nella comunità umana della religione cristiana. 

La Pentecoste è composta nel 1822, quando già̀ Manzoni aveva scritto le due tragedie e cominciato i “Promessi Sposi”. Esprime dunque una fase artistica più matura rispetto agli altro quattro Inni. 

Il Manzoni celebra poeticamente la solennità liturgica della discesa sugli apostoli dello Spirito Santo.

Dopo 50 giorni dalla resurrezione di Cristo. Il miracolo assume un particolare significato per Manzoni, in quanto è un miracolo che ha a che fare con la comunicazione umana, e con le relazioni interpersonali tra gli uomini.

La discesa dello Spirito Santo istituisce la Chiesa, cioè la comunità dei fedeli, che vengono messi in grado di comprendere la predicazione apostolica, il messaggio evangelico e di comunicare tra di loro senza problemi. 

Manzoni vuole fare parte di questa comunità, perché solo nella collettività dei fedeli si può trovare una vera armonia e una vera realizzazione dell’individuo, che, in questo modo, può opporsi alla frammentazione della storia.

Nella prima parte si delineano due immagini opposte della Chiesa: dapprima appare paurosa poi attiva nel suo impegno nel mondo; attraverso tali immagini Manzoni afferma la propria visione ideale della funzione della Chiesa. 

Nella seconda parte si insiste sul messaggio di liberazione portato dal cristianesimo a tutti gli uomini, soprattutto gli oppressi. 

Nella terza parte si propone l’auspicio che il mondo terreno, che la caduta ha tanto allontanato dal disegno divino, possa tornare a coincidere con esso. 

L’inizio dell’inno è drammatico: viene ricordata la situazione della Chiesa dopo la morte di Cristo. La piccola comunità cristiana è costretta a vivere nascosta e non ha il coraggio di presentarsi agli altri, senza possibilità e capacità di comunicare. 

La prima parte dell’inno, quindi, si concentra sulla situazione di sbandamento della Chiesa delle origini

L’autore assume il linguaggio e il tono della tradizione liturgica e innografica, ma nello stesso tempo ne sceglie le immagini più robuste e i concetti più vigorosi e solenni. 

Questo inno sacro, affrontando il tema della discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, riguarda la delicata questione del rapporto tra cielo e terra. 

La fede cristiana è una questione centrale nel pensiero dell’autore e perciò è continuamente presente nelle sue opere. 

Manzoni punta su una Provvidenza attiva nella storia e perciò su una storia umana dotata di senso. 

Sente tuttavia anche il peso tragico del male che di continuo dilaga nelle vicende terrene e nella storia umana: sofferenze e ingiustizie sembrano escludere l’intervento operoso della Grazia del mondo.

Sin dall’inizio il componimento prende il tono di una invocazione; gli aggettivi mirano all’astrattezza e alla sublimazione (“superna”, “incorruttibile”). 

Contemporaneamente i verbi (“soffri”, “combatti e preghi”) e le immagini (“le tue tendi spieghi”) sono concrete ed energiche. 

Presenta due similitudini dei vv. 41-48 e 103-112.

 Esse ricordano le similitudini del Paradiso piuttosto che quelle dell’Inferno dantesco. 

Anche sul piano retorico, la tecnica della ripetizione, sovrapponendosi a quelle del parallelismo, ricalca il tono della liturgia. 

Manzoni introduce la seconda parte una similitudine particolarmente significativa: come la luce piovendo dà colore alle cose, così gli apostoli possono predicare il Vangelo a tutti, indipendentemente dalla lingua parlata.

Dice infatti il poeta: “Come luce rapida piove di cosa in cosa, e i color vari suscita dovunque si riposa; tal risonò moltiplice la voce dello spiro: L’Arabo, il Parto, il Siro In suo sermon l’udì.” 

La similitudine è realmente significativa perché paragona la capacità degli apostoli di attuare una predicazione comprensibile a tutti, indipendentemente dall’idioma parlato, a un fenomeno per cui la luce piovendo dà colore alle cose.

Lo Spirito Santo si qualifica come una forza che elimina la separazione tra umano e divino

Il colore non tocca agli oggetti, ma appunto è un effetto ottico, quasi a dire che la possibilità di instaurare una comunicazione effettiva, profonda, delle supreme verità che essi comunicano appunto alla generalità delle persone è il frutto di un atto d’amore dello Spirito Santo, che si qualifica come una forza che elimina la separazione tra divino ed umano

Gli uomini sono messi in grado di comprendere il messaggio di Dio e quindi di comprendersi fra di loro, di ritrovarsi in un’autentica comunità proprio perché un atto di amore di Dio fa si che si colmi quella separazione tra piano divino e piano umano che appunto, senza l’intervento dello Spirito Santo, non sarebbe possibile.

La discesa dello Spirito Santo comporta allora un rinnovamento profondo della società, che si esprime innanzitutto in una dimensione di reale ed effettiva uguaglianza. 

Nella seconda parte dell’inno, infatti, a partire dal verso 5 il poeta si chiede: “Perché, baciando i pargoli, la schiava ancor sospira? E il sen che nutre i liberi Invidiando mira? Non sa che al regno i miseri seco il Signor solleva? Che a tutti i figli d’Eva nel suo dolor pensò?”.

In realtà lo Spirito Santo inaugura una vera ed autentica dimensione democratica, perché l’amore di Dio mette tutti gli uomini su un piano di vera ed autentica uguaglianza.

Questo ha comportato un rinnovamento profondo della condizione dell’uomo. Dice infatti nella strofa successiva a quella che abbiamo letto ora, una specie di rincorrersi dell’aggettivo “nuovo”: “Nova franchigia annunziano I cieli, e genti nove; nove conquiste, e gloria vinta in più belle prove; nova, ai terrori immobile e alle lusinghe infide, pace, che il mondo irride, ma che rapir non può”. Lo Spirito comporta il rinnovamento totale della dimensione umana, un rinnovamento totale che promuove non solo uguaglianza ma anche una nuova libertà, “nova franchigia annunziano i cieli, e genti nove”. E non bisogna passare sotto silenzio l’espressione “e gloria Vinta in più belle prove”.

Nel Cinque Maggio il Manzoni aveva tematizzato il massimo della grandezza umana e il suo fallimento in Napoleone. 

La morte comporta il fallimento di ogni dimensione umana, se non rapportata alla dimensione dell’eterno

Con la Pentecoste si evidenzia la falsità dell’ideale eroico, rimuovendolo. 

La “gloria vinta in più belle prove” sono le vittorie nate dalla lotta per il trionfo del messaggio cristiano, le vittorie spirituali con cui si vince l’errata struttura del mondo. 

Tutto l’inno è caratterizzato dalla presenza di un duplice movimento: verticale, che collega piano divino e piano della storia, e orizzontale, la Chiesa militante che combatte e riesce a unificare in sé tutti gli uomini. 

La Pentecoste, a dispetto delle fatue imprese napoleoniche, sancisce che il vero eroismo è quello del quotidiano, delle imprese della Chiesa, che è la comunità delle persone. 

La “gloria vinta in più belle prove” sono le vittorie che nascono dalla lotta per il trionfo del messaggio cristiano, dalla lotta che porta alle vittorie spirituali con cui si vince la struttura errata del mondo, con cui si vincono le frammentazioni della storia, con cui si vince quella perversione, che Manzoni aveva focalizzato in più di un’occasione fra il piano dell’essere ed il piano del dover essere. 

Questo comporta il dono di una pace, di una pace nuova, di una pace straordinaria appunto che il mondo irride, ma che non può rapire e che quindi si qualifica come una vittoria sul mondo. 

È significativo invece che nel Cinque maggio il movimento sia solo orizzontale. 

Il correre dall’uno all’altro mare, un verso che torna identico nella Pentecoste e nel Cinque maggio. Infatti, la Pentecoste presenta al verso 8 l’espressione “dall’uno all’altro mar”, anzi leggiamo insieme dei versi: “Tu che, da tanti secoli, Soffri, combatti e preghi, che le tue tende spieghi dall’uno all’altro mar” e non bisogna qui passare sotto silenzio il linguaggio militare, “Campo di quei che sperano; Chiesa del Dio vivente, dov’eri mai?”. 

E quel verso “dall’uno all’altro mar” torna identico nel Cinque maggio al verso 30, ma è ben diversa questa estensione della predicazione della Chiesa all’estensione dell’azione di Napoleone.

L’azione di Napoleone finisce nel fallimento, Napoleone finisce a Sant’Elena, privo di qualsiasi significato umano legato alla sua antica dimensione eroica. 

Ed ecco che allora la conclusione della Pentecoste vede una preghiera allo Spirito Santo, perché possa dare finalmente l’esatta dimensione umana rivelata all’uomo stesso, una dimensione in cui viene abbandonato ogni conflitto di classe, una dimensione in cui ognuno ritrova l’autentico significato della sua vita, una dimensione in cui anche nell’atto della morte lo Spirito di Dio brilla e consente di mantenere viva la speranza, che è quella che arriverà appunto a Napoleone e che proprio nel momento del massimo fallimento segnerà invece la vera acquisizione della grandezza umana, il vero dies natalis che è il giorno della morte, la sua morte alla storia che falsifica e frammenta e la sua rinascita all’assoluto e a Dio che da senso.

La conclusione dell’inno presenta una preghiera allo Spirito Santo.

Tempra de’ baldi giovani

Il confidente ingegno;

reggi il viril proposito

ad infallibil segno;

adorna le canizie

di liete voglie sante;

brilla lo sguardo errante

di chi sperando muor.