Dietro la semplicità evangelica delle sue parole, dietro l’umiltà dei suoi gesti, c’è una formazione umanistica vasta, stratificata, sorprendente, segnata da letture che ne hanno scolpito la mente e l’anima.

«Dimmi quel che leggi e ti dirò chi sei.» Mai detto si è rivelato più vero che nel caso di Jorge Mario Bergoglio, divenuto Papa Francesco.

Tra i molti episodi che raccontano questa radice letteraria, ce n’è uno che spicca per intensità: il giovane Bergoglio, ventottenne professore di Letteratura e Psicologia al Colegio de la Inmaculada Concepción di Santa Fe, invita Jorge Luis Borges a tenere un seminario sulla letteratura gaucha.

Borges, ormai quasi cieco, accetta. Viaggia per dieci ore su una corriera scomoda, 470 chilometri nella notte.

Nessuno comprese appieno il motivo di quella adesione. Forse, come accade solo tra spiriti affini, Borges riconobbe qualcosa nel giovane docente che lo attendeva, pronto anche a fargli da barbiere improvvisato.

Esiste una foto in bianco e nero di quell’incontro: due profili sorridenti, e un futuro segnato.

Questo episodio racchiude molto del modo in cui Papa Francesco si è accostato ai libri: non come specchio di sé stesso, ma come varco verso l’altro.

Una biblioteca senza confini

Lo studio privato di Francesco a Casa Santa Marta non ospita solo testi sacri.

Accanto ai classici della spiritualità cattolica si trovano Borges, Dostoevskij, Chesterton, Tolkien, Robert Hugh Benson (Il padrone del mondo), Gerard Manley Hopkins, Friedrich Hölderlin, Joseph Malègue.

Una biblioteca che incrocia fede, poesia, narrativa, filosofia, rivelando un’anima capace di coniugare il rigore dell’intelletto con la profondità del cuore.

Tra i grandi amori di Francesco c’è Alessandro Manzoni, autore de I Promessi Sposi.

«L’ho letto tre volte», confidò, «e lo tengo ancora sul tavolo per rileggerlo.»

Manzoni, con la sua fede nella Provvidenza e il suo sguardo realistico sulla miseria umana, rappresenta per Francesco una guida nella complessa arte del discernimento pastorale.

Ugualmente decisiva è stata la scoperta di Fëdor Dostoevskij, “maestro di vita”, capace di raccontare la bellezza dell’amore che salva nel cuore stesso della sofferenza e del peccato.

Nella Leggenda del Grande Inquisitore ha trovato una lente potente per comprendere le derive del potere e l’idolatria che stravolge anche le istituzioni più sacre.

Dostoevskij, per Francesco, è un educatore di umanità, un compagno di cammino nella notte della fede.

Non solo letteratura

La formazione di Bergoglio è stata nutrita anche da opere teologiche e filosofiche: Il Signore di Romano Guardini, Memoriale di San Pietro Favre, Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola.

Tuttavia, la letteratura, più ancora della teologia sistematica, ha affinato in lui quella capacità unica di leggere l’umano nella sua verità più nuda e insieme più redenta.

Persino autori meno noti come Joseph Malègue, il “Proust cattolico”, hanno lasciato un’impronta.

Di Malègue ammirava la tensione drammatica tra fede e intelligenza, un tema che percorre anche il proprio magistero: la fede come esperienza concreta e sofferta, non come rifugio ideologico.

Non si può conoscere il cuore dell’uomo senza ascoltarne i racconti.
E non si può servire il Vangelo senza prima
essere discepoli della bellezza ferita della vita.
Papa Francesco

Il Papa umanista

Papa Francesco ha più volte raccomandato:

«Leggete Dostoevskij. Leggete gli umanisti. Non per diventare letterati, ma per crescere in umanità.»

Questa esortazione rivela il cuore della sua proposta culturale: una fede che non teme di misurarsi con le profondità e le contraddizioni dell’animo umano.

Una fede che si fa compagnia alla fragilità, non rifugio dalle domande.

Se Benedetto XVI amava i grandi trattati teologici e Giovanni Paolo II la filosofia, Francesco ama la parola viva della letteratura, quella che sa farsi eco delle lacrime e delle speranze di ogni uomo.

Un’eredità da custodire

In un’epoca che tende a ridurre tutto a slogan e ideologie, l’umanesimo letterario di Papa Francesco è un invito a riscoprire la profondità e la lentezza del pensiero, il valore dell’ascolto, la sapienza del narrare.

La sua biblioteca, come il suo pontificato, resta un ospedale da campo anche per la cultura, un luogo dove il dolore si intreccia con la bellezza, e dove la fede si fa, ancora e sempre, ricerca dell’altro.