El Niño

L’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) sta parlando in questi giorni di un probabile ritorno di “El Niño”.

È un fenomeno climatico vissuto l’ultima volta nel 2016 e caratterizzato da temperature eccezionalmente torride.

Esso si verifica una volta ogni tre-sette anni, dura tra i nove e i dodici mesi e si può prevedere con sei-nove mesi d’anticipo. 

È stato ribattezzato in questo modo centinaia d’anni fa da un pescatore peruviano.

L’evento è solito a mostrare il peggio di sé sotto Natale (“El Niño”) con piogge intense nell’America del Sud, negli Usa meridionali.

Interessa anche alcune zone del Corno d’Africa, senza dimenticare le ondate di calore in Australia, in Indonesia e nell’Asia meridionale. 

È una fase di un ciclo di oscillazione che si verifica nell’Oceano Pacifico tropicale. Il clima, infatti, dipende anche da cicli nell’interazione tra oceano e atmosfera, che si influenzano a vicenda.

L’Antropocene

Il punto più spinoso riguarda la “convivenza” tra El Niño e gli effetti del riscaldamento globale di origine antropica.

 Su questo tema la comunità scientifica non ha ancora trovato una opinione comune

Molti scienziati discutono sull’opportunità di riconoscere una nuova epoca geologica per il nostro pianeta.

Essa è denominata “Antropocene”.

L’ultima epoca formalmente definita era l’Olocene risalente a 12.000 anni fa.

La scelta di questo termine (la cui prima parte deriva dal greco ‘anthropos’, ‘umano’) indicherebbe che essa sarebbe definita dall’influsso della presenza e dell’attività umana sullo stato del pianeta Terra su scala geologica, globale.

Greta Thunberg a parte, oggi è fortemente cresciuta la sensibilità ecologica.

Papa Francesco con l’enciclica Laudato si’  ha mosso un ulteriore passo avanti nel Magistero della Chiesa.

Siamo sottoposti al riscaldamento globale, col conseguente scioglimento dei ghiacciai, il sorgere di violenti uragani, l’aumento dell’inquinamento sul pianeta e l’allargamento della desertificazione in alcune regioni del mondo.

C’è da chiedersi, tuttavia, se quanto avviene faccia parte delle dinamiche naturali o sia influenzato dall’azione dell’uomo.

La risposta non è univoca.

C’è un’azione evolutiva della natura e del suo impatto sull’ambiente globale, ma c’è anche un’azione dell’uomo.

Con la sua presenza sul territorio e con la sua attività, innesca processi di trasformazione che non sono da considerare necessariamente in senso negativo.

Senza la tecnologia applicata all’agricoltura, ad esempio, lo stesso fabbisogno alimentare per l’attuale numero di abitanti del pianeta, sarebbe stato messo in crisi.

Fare di una campagna incolta un giardino, è sempre un bene.

Diversa è la considerazione sull’urbanizzazione selvaggia, la deforestazione e la cementificazione generalizzata.

La proposta che sembra attualmente più condivisa dalla comunità scientifica è quella di far iniziare l’Antropocene alla metà del secolo XX. 

Le attività umane che contrassegnerebbe questo momento sarebbero proprio le esplosioni nucleari iniziate con i test del 1945 e l’immissione nell’ambiente di sostanze radioattive.

La plastica, i metalli pesanti e i pesticidi hanno fatto progressivamente il resto.

L’Antropocene, tuttavia, non è solo un fenomeno quantificabile empiricamente, ma un epifenomeno dalla valenza soprattutto culturale.

Natura e cultura

Pierre Teilhard de Chardin geologo e paleontologo gesuita vissuto nello scorso secolo, propose la nozione di “noosfera”.

Nella sua opera fondamentale, Il Fenomeno Umano, proietta la sua visione dell’universo e della vita, per grandi affreschi successivi, come su un grande schermo (sono parole sue)

In quest’opera, come un po’ in tutti i suoi scritti che non siano puramente memorie scientifiche, Theilard de Chardin utilizza una prosa metaforicamente molto ricca. 

Si fa strada l’idea che che ogni organismo e ogni popolazione di organismi di una certa specie biologica modifica sempre in maniera non trascurabile l’ambiente in cui si trova a vivere.

Questo avviene in modi che molto spesso smussano quegli aspetti e fattori ambientali più problematici (o tendenzialmente avversi) alla sopravvivenza propria e delle future generazioni. 

La nozione di “niche construction” (costruzione di nicchie) va facendosi sempre più spazio nella biologia contemporanea. 

Da questo punto di vista, gli effetti pervasivi dell’attività umana sullo stato del pianeta sono stati considerati come un “monumentale processo di costruzione di nicchia. 

Dal punto di vista biologico è quindi inevitabile che “organismi e popolazioni umane” impattino sul loro ambiente. 

Niche construction e tecnologia, dunque, mettono bene in evidenza come “Antropocene” potrebbe anche avere un’accezione più “neutrale”: potrebbe cioè catturare gli esiti di caratteristiche costitutive dell’essere umano – l’una più biologica, l’altra più culturale.

L’uomo “con-creatore”

Suggestiva la comprensione dell’essere umano come “co-creatore creato” proposta da Philip Hefner.

 In chiave teologica essa rappresenta l’idea che l’essere umano sia chiamato a collaborare alla creazione, facendone emergere potenzialità non ancora esplicitate proprio grazie alla tecnologia. 

 L’idea di collaborare alla creazione ha basi bibliche, persino vetero-testamentarie.

In Genesi 2,15, ad esempio, dove all’essere umano è dato il mandato di “coltivare e custodire” il giardino). 

In questa prospettiva può essere letta la pressante insistenza del corrente Magistero sulla “cura della casa comune” – che evidentemente trova nella già citata enciclica Laudato si’ di papa Francesco un punto notevole. 

Il connubio tra teologia, antropologia ed ecologia diventa allora un felice auspicio per l’epoca geologica Antropocene nella quale l’uomo non è in preda a forze sconosciute e assolutamente ingovernabili, ma artefice del proprio destino.