La visita del presidente francese Emmanuel Macron nel cuore artico non è solo diplomazia simbolica, ma una sfida geopolitica esplicita: proteggere la sovranità europea in uno dei teatri più ambiti e fragili del XXI secolo.
Il 15 giugno 2025 Emmanuel Macron sarà il primo capo di Stato europeo a mettere piede in Groenlandia dopo le reiterate minacce di “annessione” espresse da Donald Trump, tornato alla Casa Bianca con il suo stile bellico e senza freni. Non è un viaggio di cortesia. È un gesto politico forte, calcolato, altamente strategico. In un momento in cui gli Stati Uniti sembrano più inclini a riscrivere unilateralmente i confini globali che a difenderli, la presenza della Francia in Groenlandia assume il peso di una dichiarazione d’intenti: l’Artico non sarà terra di conquista.
La visita è frutto di un doppio invito: quello del premier groenlandese Jens-Frederik Nielsen e della prima ministra danese Mette Frederiksen. Ma dietro l’apparente cordialità, si cela un’urgenza: contrastare il disegno egemonico americano, che punta a mettere le mani su una terra vasta quanto l’Europa ma con appena 57.000 abitanti, ricca di terre rare, petrolio e posizione strategica.
Il gelo della diplomazia: Trump non scherza
Donald Trump ha ribadito più volte il suo obiettivo: “il Groenlandia ci serve”, con tanto di minaccia implicita sull’uso della forza, giustificato dal principio – arbitrario – della “sicurezza internazionale”. Il suo vice, JD Vance, ha tentato una sortita diplomatica a marzo, culminata con l’esclusione dal territorio groenlandese dopo commenti accusatori al governo danese. Washington sembra considerare l’isola come un’appendice naturale della sua proiezione militare e mineraria: una frontiera utile, da integrare con o senza consenso.
La Casa Bianca ha rianimato fantasmi coloniali con parole che, un tempo, si sarebbero lette solo nei romanzi d’appendice. “Non l’avete sviluppata abbastanza, quindi ce ne occuperemo noi” – in sintesi, l’accusa rivolta a Copenaghen. La risposta danese è stata chiara: “Il Groenlandia non è in vendita.” Ma le parole non bastano, se non sono seguite da presenze, investimenti e strategie concrete.
Macron in trincea (polare)
Con la sua visita, Macron prova a colmare un vuoto. Non è la Francia in quanto tale ad andare al Groenlandia, ma l’Europa. L’Eliseo lo ha ribadito: questo viaggio mira a “rafforzare la cooperazione” con un territorio simbolo e vulnerabile, e allo stesso tempo a “contribuire al rafforzamento della sovranità europea”. Tradotto: mettere bandiere prima che qualcun altro metta basi.
Le tematiche trattate non sono neutre: sicurezza nell’Atlantico del Nord, transizione energetica, estrazione responsabile dei minerali critici, cambiamento climatico. Tutto ciò che oggi fa gola alle potenze in gara. L’Artico non è più un deserto bianco: è il nuovo Mediterraneo, con rotte commerciali che si aprono grazie (o a causa) della fusione dei ghiacci, e risorse che potrebbero alimentare — o distruggere — l’autonomia energetica del futuro.
Un nuovo colonialismo o una nuova alleanza?
Macron si muove anche sul filo del paradosso: da un lato, difende la sovranità del Groenlandia contro il colonialismo americano; dall’altro, sa che l’Europa, se vuole contare, deve offrire alternative concrete ai popoli artici. Il popolo inuit, che forma la maggioranza della popolazione groenlandese, non vuole diventare americano, ma non vuole neppure restare marginale. Nessuna sovranità può vivere di simboli: servono sviluppo, investimenti sostenibili, rispetto culturale.
La sfida europea non è solo geopolitica, è anche etica. Contro i “minerali del sangue” estratti in Africa o in Asia sotto controllo autoritario, il Polo Nord potrebbe diventare il laboratorio di un nuovo modello di estrazione etica, trasparente, condivisa. Ma solo se l’Europa saprà essere partner, non predatore. E la Francia, potenza artica per via delle sue terre d’oltremare, ha un ruolo cruciale da giocare.
L’ultima frontiera dell’Europa
In tempi normali, una visita al Groenlandia avrebbe fatto sorridere. Oggi fa discutere, e fa bene. Il silenzio artico è stato rotto dalle ambizioni geopolitiche del XXI secolo. L’Europa può scegliere se restare spettatrice o protagonista. Macron ha fatto la sua mossa: fragile, certo, ma chiara.
La domanda ora è: l’Unione Europea seguirà? Oppure lascerà che il futuro si giochi tra Washington, Mosca e Pechino — anche a meno 50 gradi?
La risposta è scritta nel ghiaccio che si scioglie. Ma dipenderà da quanto avremo il coraggio di abitarlo.