Dopo il Qatar, è il turno dell’Arabia Saudita per diventare uno degli attori chiave del calcio mondiale. Questa offensiva per migliorare l’immagine del Paese, in particolare in vista della Coppa del Mondo del 2030, rischia di provocare un degrado dell’economia del calcio in Europa.

Il 30 dicembre 2022, Cristiano Ronaldo – uno dei due più grandi giocatori di calcio del XXI secolo insieme a Lionel Messi – ha annunciato che si sarebbe unito al club Al-Nassr in Arabia Saudita. L’annuncio aveva fatto molto rumore a causa dell’aura di Ronaldo, ma era un giocatore di fine carriera, che rimaneva su un fallimento con il Manchester United, e la maggior parte degli osservatori lo considerava un movimento isolato, motivato da un gigantesco stipendio annuale di 200 milioni di euro.

Ronaldo, a 38 anni, si è unito alla lista di giocatori prestigiosi ma in declino che ha fatto un ultimo giro di campo monetizzando a caro prezzo i loro servizi in campionati esotici in difficoltà di notorietà e headliner. Così nel 1975, il gigante Pelé aveva firmato al Cosmos di New York all’età di 34 anni – per uno stipendio annuo di 1,4 milioni di dollari, considerato all’epoca considerato enorme -, o più recentemente nel 2018 il fantastico centrocampista spagnolo e di Barcellona Andrés Iniesta si era unito al club giapponese Vissel Kobe all’età di 34 anni per 20 milioni di dollari di stipendio annuo.

Mercato intensivo

Ma gli osservatori si sono sbagliati e la data del 30 dicembre 2022 rimarrà senza dubbio come un punto di svolta nella storia del calcio contemporaneo. In effetti, il caso Ronaldo non è isolato, e i club sauditi, raggruppati nella Saudi Pro League (SPL), hanno iniziato, per lo più in Europa, una gigantesca ondata di reclutamento, non solo prendendo di mira giocatori di primo piano ma spesso anziani, ma anche giocatori più giovani e di livello eccellente.

La lista dei calciatori che si sono già uniti alla SPL in sei mesi fa girare la testa e possiamo citare per i più noti: Karim Benzema (Ballon d’or 2022), Neymar (uno dei 5 migliori giocatori degli ultimi dieci anni), Sadio Mané (miglior giocatore africano nel 2022), N’Golo Kanté (campione del mondo francese), Fabinho, Malcolm, Ruben Neves…

In controtendenza, tuttavia, c’è anche la resistenza di alcuni club e calciatori alle sirene arabe.

È il caso della Società Sportiva Calcio Napoli il cui presidente Aurelio de Laurentis ha rinunciato a 200 milioni di euro per cedere la stella Victor Osimhen.

Nello stesso club, Piotr Zilinski ha rinunciato a un ingaggio da venti milioni all’anno accontentandosi dello stipendio dimezzato pur di rimanere con la maglia scudettata del Napoli.

Il giovane spagnolo Gabri Vega in fase avanzata di contratto col Napoli, è stato invece soffiato dagli arabi alla squadra partenopea negli ultimi giorni di mercato estivo.

Calcio e Business

Il punto in comune di queste assunzioni: stipendi XXL a volte 10 volte superiori a quello che ricevevano gli stessi giocatori nei loro club precedenti. Nel caso di Benzema, si parla di un minimo di 200 milioni in tre anni per unirsi al club di Al-Ittihad quando ha toccato circa 15 milioni all’anno al Real de Madrid, e nel caso di Neymar, si parla di 200 milioni all’anno per giocare ad Al-Hilal, contro i 30 milioni quando giocava per il PSG.

In effetti, i sauditi hanno mezzi colossali per offrire tali stipendi perché i 4 più grandi club del paese (Al-Nassr, Al-Hilal, Al-Ahli e Al-Ittihad) sono direttamente sostenuti dal fondo sovrano saudita (FIP) che li detiene al 75% e gestisce più di 700 miliardi di attività. Qui le questioni di redditività, fair-play finanziario o equità sportiva non hanno importanza, perché si tratta per l’Arabia Saudita di rendere il calcio uno strumento importante del suo soft power e della sua politica di immagine come ha fatto il Qatar nell’ultimo decennio. Nel miro, l’ottenimento dell’organizzazione della Coppa del Mondo Fifa 2030, che fa parte del piano Vision 2030 portato da Mohammed Ben Salmane, il leader di fatto del paese.

Fare del calcio una delle vetrine del paese è una decisione politica e non economica o sportiva.

Una trasformazione storica

Ma questa offensiva saudita destabilizzerà in modo significativo il calcio mondiale e soprattutto europeo: prima di tutto con tali stipendi, molti giocatori, anche in pieno possesso dei loro mezzi, si lasceranno tentare dal campionato saudita, anche se significa passare due o tre anni lì per riempire il loro conto in banca in mancanza di ampliare il loro palmarès. Così, mentre la stragrande maggioranza dei trasferimenti importanti sono stati fatti all’interno dei campionati europei o di altri campionati, come il campionato brasiliano, ai campionati europei, questa è la prima volta che un terzo campionato viene a competere direttamente con loro per reclutare giocatori.

Teoricamente il campionato saudita diventerà più visibile, più attraente e di livello migliore, mentre i campionati europei perderanno (un po’) il loro interesse, in particolare i più deboli come il campionato francese. Come tale, è interessante notare che Canal+, l’attore storico dei diritti del calcio in Francia, ha acquistato i diritti della SPL ma probabilmente non si posizionerà per acquistare i diritti della Ligue 1. Da quel momento in poi potrebbe essere avviato un circolo vizioso: buoni giocatori che partono, quindi campionati meno interessanti, quindi diritti di trasmissione più bassi, e quindi meno mezzi per trattenere i buoni giocatori… Qui c’è un vero rischio di degrado dell’economia calcistica in Europa.

Conflitto istituzionale

L’altra conseguenza di questo movimento è legata alla guerra sotterranea tra la Fifa, che gestisce il calcio a livello mondiale, e la UEFA che ne è l’istanza europea. L’Europa è l’epicentro del calcio a livello mondiale, il che porta a una rivalità sistemica tra UEFA e Fifa; anche quest’ultima generalmente vede di buon occhio ciò che può indebolire il calcio europeo e/o diminuire la sua importanza. L’attuale presidente della Fifa Gianni Infantino non è mai avaro di idee barocche – come la moltiplicazione ad nauseam delle competizioni e l’inflazione del numero di squadre che vi partecipano – in questa guerra, e noteremo con attenzione che ora vive buona parte dell’anno in Qatar!

Si può pensare che la Fifa incoraggerà quindi fortemente lo sviluppo del campionato saudita, che è abbastanza allineato con la promozione di una Coppa del Mondo per club che si giocherà a 32 club nel 2025. Ironia della, si potrebbe anche immaginare che entro tre o quattro anni l’Arabia Saudita chieda di unirsi alla competizione di club più prestigiosa (la Champions League), a priori riservata ai club europei, sapendo che Israele o il Kazakistan vi partecipano già attraverso i loro club. Se l’Arabia Saudita diventa in modo duraturo un attore credibile nel calcio mondiale, è la geopolitica globale del calcio che potrebbe essere modificata.

Riflesso del capitalismo

Da questa evoluzione del calcio trarremo infine una lezione sullo stadio di sviluppo del capitalismo: siamo in uno stadio che alcuni chiamano capitalismo tardivo dove il denaro permette di comprare tutto. In questo caso, anche nel caso di giocatori di calcio che sono già multimilionari, il loro talento ha davvero un prezzo, basta proporlo. E in questo caso specifico, il denaro non ha odore e questo a doppio titolo: da un lato l’Arabia Saudita è un regime poco raccomandabile da fare nella litote (150° paese su 167 all’indice di democrazia elaborato da The Economist Intelligence Unit), sia in termini di governance, diritti delle donne…, dall’altro questa dissolutezza di mezzi è consentita grazie alla rendita petrolifera accumulata per decenni.

È l’argento dell’oro nero che paga questi giocatori di calcio. Nel momento in cui l’estate del 2023 sarà stata catastrofica dal punto di vista climatico (incendi in Canada e Hawaii, inondazioni in Cina…), non è l’ultimo dei paradossi vedere uno dei principali contributori al cambiamento climatico comprarsi un’immagine grazie allo sport più popolare al mondo e alle sue più grandi star.