La diplomazia culturale e scientifica, nuovo processo di relazione internazionale volto al conoscere per capire e comprendere.

La cultura è un elemento essenziale dell’identità italiana nel mondo e rappresenta un patrimonio materiale e immateriale cui attingere per affrontare le sfide della contemporaneità. Ne fanno parte a pieno titolo la lingua italiana come eredità del passato e ponte verso il futuro, e la ricerca scientifica, settore in cui il nostro Paese può vantare punte di eccellenza a livello mondiale. La promozione culturale occupa quindi un ruolo fondamentale nella politica estera del nostro Paese e costituisce uno dei principali strumenti di proiezione esterna. Il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) promuove anche l’internazionalizzazione della ricerca italiana e la diplomazia scientifica, quali strumenti fondamentali per lo sviluppo della cooperazione tra l’Italia e il resto del mondo. Alla base dell’azione del MAECI è possibile cogliere la convinzione che non ci possa essere sviluppo economico senza innovazione e sostegno alla ricerca scientifica.  

Nell’analisi dei futuri scenari di relazione istituzionale, la diplomazia delle culture è la chiave più avanzata per innescare un nuovo processo di relazione internazionale volto al conoscere per capire e comprendere, al conoscere per avere gli strumenti che ci permettano di essere partecipi e non solo spettatori del mondo, entrando in empatia con i territori, specialmente quelli più vulnerabili nelle persone e nelle risorse, immaginando scenari multilaterali di bene comune per la promozione della fratellanza e della solidarietà concretamente realizzabili nella dignità integrale di tutti gli abitanti del globo.

“La diplomazia delle culture è la chiave più avanzata
per innescare un nuovo processo di relazione internazionale”

È una possibilità per rispondere concretamente all’appello contenuto nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato da papa Francesco e dal Grand Imam Ahmad Al-Tayyib, nobile Shaykh di al-Azhar: «Ci rivolgiamo agli intellettuali, ai filosofi, agli uomini di religione, agli artisti, agli operatori dei media e agli uomini di cultura in ogni parte del mondo, affinché riscoprano i valori della pace, della giustizia, del bene, della bellezza, della fratellanza umana e della convivenza comune, per confermare l’importanza di tali valori come àncora di salvezza per tutti e cercare di diffonderli ovunque»

Il problema è che non disponiamo ancora della giusta sensibilità, carità e umiltà politica, talenti necessari per affrontare questa nuova opportunità geopolitica.  

E’ necessario convocare le migliori competenze per rispondere alle necessità delle generazioni attuali includendo tutti, senza compromettere le generazioni future.  Strumenti di policy viventi, necessari ad accompagnare il futuro che avanza ed elaborare nuove strategie attive di diplomazia della cultura, partendo dalla relazione, dalla sinergie, dai territori, dall’ambiente integrale, dalla giustizia ecologica per co-costruire strumenti di fratellanza, di opportunità, di responsabilità.  

Un processo armonico di ricerca azione nel quale si declina lo spartito della nuova musica globalel’analisi, la ricerca e lo studio delle nuove opportunità di relazione economica e sociale, l’osservazione critica delle attività culturali e sociali correlate alle linee di policy, la comunicazione dei nuovi linguaggi per favorire una nuova narrazione dei territori,l’interpolazione transdisciplinare volta  all’empatia generativa propria del civil servant, una diaconia istituzionale che propone un nuovo sguardo tecnico fondato sulla fratellanza internazionale sono chiavi per l’implementazione della sinfonia delle diversità che accompagna le traiettorie dello sviluppo integrale.

Nel contesto del nuovo ius positum legato alle nuove opportunità offerte dal paradigma delle relazioni internazionali è possibile declinare linee di azione culturali e scientifiche nell’ intento di promuovere una robusta ripresa della speranza di futuro dove si possa riflettere sulla riconciliazione, sulla rinuncia alle pratiche insostenibili, sulla resilienza climatica, sulla rigenerazione. 

Una riflessione sulla complessità e sulle possibili politiche di adattamento, nel caso verosimile che non siano centrati in tempo gli obiettivi connessi al cambiamento climatico, politico e sociale. Una riflessione culturale che si pone come aperta e convocante, nella quale deve essere armonicamente intersecata l’idea istituzionale di benessere integrale. 

“L’Italia è il principale punto di arrivo dei flussi dall’Africa”

Un sentiero di lavoro operativo che raccoglie la riflessione espressa nel Summit Italia-Africa da Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione Africana. L’Africa è infatti pronta a discutere contorni e modalità dell’attuazione di un nuovo programma condiviso di policy integrali inserite in una costante cooperazione equa e produttiva. Faki in particolare ha ricordato nell’assise internazionale del vertice Italia-Africa: «Le nostre priorità derivano dalle sfide molteplici che il nostro continente deve affrontare e dagli ostacoli alla loro realizzazione, dal debito al cambiamento climatico, alla crescita degli estremismi violenti e del terrorismo, oltre all’instabilità istituzionale, al deficit di finanziamenti adeguati. L’Italia è il principale punto di arrivo dei flussi e l’emigrazione dei giovani nel pieno delle forze è un dramma per l’Africa, che si può affrontare creando un nuovo modello di sviluppo e non con barriere securitarie e di ostilità da parte europea. Condividiamo la preoccupazione di trovare una soluzione sostenibile a un fenomeno tragico e ricorrente. Per noi la strategia per prevenire le partenze è trasformare le aree di povertà in uno spazio di prosperità e di realizzazione. L’Africa – ha concluso Faki – non vuole tendere la mano, non siamo mendicanti. Noi peroriamo un cambiamento di paradigma per un nuovo partenariato che possa aprire la strada ad un mondo più giusto se vogliamo costruire pace e prosperità».

In tale ambito è possibile lavorare in una nuova agenda dell’adattamento globale come avvio di riflessione capace di coniugare l’analisi socio-politica con quella economica mediante una estesa collaborazione con i principali think tank di tutto il mondo, interagendo con gli attori di policy appartenenti agli apparati statali e alla società. 

“Occorre ricominciare dalla “cultura del noi”
nel dialogo con i Paesi Africani e del Mediterraneo Allargato”

La dinamica di pensiero analitico deve essere policromatica e poliedrica, in grado di fornire nuovi indicatori di valutazione del benessere integrale,  affiancare all’attività di ricerca un significativo impegno nel dialogo con i maggiori attori istituzionali, nella formazione, nella convegnistica e nelle attività di orientamento sui rischi e sulle opportunità per i cittadini, per le imprese e le Istituzioni pubbliche e private legate alle nuove normative. Ripartire dal basso, ricominciare dalla “cultura del noi” nel dialogo con i Paesi Africani e del Mediterraneo Allargato; riprendere il cammino valutativo, aprendo una nuova fase nel pensiero della governance partendo dalla sensibilità del costituente per la costruzione del futuro del pianeta. 

La sfiducia nella ” Politica”, crisi dell’interesse del bene comune, per la cosa pubblica, stimola la ricerca di nuove formule di servizio alla cittadinanza e fa emergere, di conseguenza, la proposta di nuovi percorsi educativi e formativi – la via della cultura -, finalizzati a riavviare il senso di una responsabilità integrale a vantaggio dello sviluppo autentico della polis, del benessere integrale e delle nostre istituzioni governative.

Bisogna prestare attenzione alla dimensione globale senza perdere di vista ciò che è locale. Ricordando il discorso del Santo Padre Francesco ai membri del Corpo diplomatico “ all’idea di una “globalizzazione sferica”, che livella le differenze e nella quale le particolarità sembrano scomparire, è facile che riemergano sterili protagonismi personali, mentre la globalizzazione può essere anche un’opportunità nel momento in cui essa è poliedrica, ovvero favorisce una tensione positiva fra l’identità di ciascun popolo, il Paese e la globalizzazione stessa, secondo il principio che il tutto è superiore alla parte”