Il 25 maggio 1963, trentadue capi di Stato africani indipendenti si incontrarono ad Addis Abeba, in Etiopia, insieme ai leader dei movimenti di liberazione africani ancora in lotta per creare una via per la completa indipendenza dell’Africa dall’imperialismo, dal colonialismo e dall’apartheid.

In questa data si celebra ogni anno la Giornata dell’Africa che nel 2023 è al suo 60° anniversario.

STORIA

Oggi, l’Unione Africana (UA), che ha rilevato l’Organizzazione per l’Unità Africana (Oua), riflette sullo spirito del panafricanismo, che collega il passato al presente e alle aspirazioni del continente per il futuro.

All’alba del XXI secolo il mondo era già tanto cambiato rispetto a quaranta anni prima. 

Fu il leader libico Muammar Gheddafi a proporre un allargamento di visione che fosse più tendente a un moderno panafricanismo, dove alla solidarietà, alla pacificazione e al mantenimento della pace si aggiungessero obiettivi di più stretta unità, anche con nuovi traguardi economici.

Un po’ più simile all’Unione Europea, con una banca centrale, una corte di giustizia, un parlamento. Così, nasceva l’Unione Africana.

Nel 2000, a Lomé in Togo, la firma dell’atto costitutivo.

Nel 2002, l’ufficializzazione al summit dei Capi di Stato a Durban, Sudafrica.

Tra i compiti, anche quello di costruire l’economia del post-colonialismo, la mediazione dei conflitti di confine e delle guerre regionali e civili. E sicuramente fu determinante il ruolo dei paesi africani, uniti ora in un’organizzazione riconosciuta e strutturata, nel Gruppo 77, che all’interno delle Nazioni Unite faceva fronte comune sulle questioni e necessità delle nazioni in via di sviluppo.

Fu il leader libico Muammar Gheddafi a proporre un allargamento di visione che fosse più tendente a un moderno panafricanismo, dove alla solidarietà, alla pacificazione e al mantenimento della pace si aggiungessero obiettivi di più stretta unità, anche con nuovi traguardi economici.

Un po’ più simile all’Unione Europea, con una banca centrale, una corte di giustizia, un parlamento. Così, nasceva l’Unione Africana. Nel 2000, a Lomé in Togo, la firma dell’atto costitutivo. Nel 2002, l’ufficializzazione al summit dei Capi di Stato a Durban, Sudafrica.

CRITICITÀ

Dunque, mentre l’OUA ha concentrato i suoi sforzi principalmente sulla decolonizzazione e sulla costruzione di relazioni diplomatiche tra i membri e con il resto del mondo, gli obiettivi dell’UA sono stati da subito promuovere lo sviluppo economico del continente e consolidare una pace duratura.

A questo proposito fu istituita l’African Standby Force, forza di peacekeeping con lo scopo di intervenire nei conflitti, soprattutto nel caso di crimini di guerra o genocidi. Uno dei principi che detta le decisioni dell’UA per quanto riguarda la sicurezza, è quello della responsabilità di proteggere, introdotto dalle Nazioni Unite e che nelle azioni e documenti dell’Unione Africana ha sostituito il principio di non intervento con quello di non indifferenza.

Ovviamente, e soprattutto negli ultimi anni, ci si è interrogati sull’efficacia non solo del sistema di peacekeeping ma sullo stesso organismo sovranazionale. Organismo che dal 2017, ricordiamo, conta tutti i 54 stati sovrani africani, ai quali si è unita in seguito la Repubblica Araba Democratica Sahrawi.

Eppure, dicevamo, molte sono le critiche e molti quelli che vengono definiti fallimenti. Azioni e tentativi incompiuti, rispetto alle dichiarazioni iniziali e alle aspettative. Soprattutto sul fronte della governance e della sicurezza. È ancora troppo lungo l’elenco dei conflitti armati, colpi di Stato militari, tensioni tra gruppi etnici. Senza parlare dell’estrema difficoltà a combattere il terrorismo.

Quanto le forze di pace – e la stessa diplomazia – non siano sufficienti o addirittura utili a risolvere criticità estreme, lo dimostrano le violenze nella Repubblica democratica del Congo (e le accuse al governo rwandese di sobillarle), i colpi di Stato che si sono succeduti in Mali e in Burkina Faso – e in genere le tensioni nel Sahel – il conflitto in Etiopia, la lotta per il potere in Sudan. E poi tutte quelle tensioni, morti e distruzione causati dai gruppi terroristici di matrice islamica.

MISSION 

Al centro c’è sempre una riflessione sui successi dell’Africa, sulle sfide che il continente deve affrontare e la riaffermazione dell’impegno verso l’unità africana e lo sviluppo sostenibile.

Nella nota istituzionale l’Unione Africana evidenzia che la Giornata dell’Africa rappresenta “un’opportunità per condividere le informazioni, le conoscenze e le migliori pratiche del passato e per incoraggiarsi a vicenda ad assumere la visione dell’Ua, nonché per guidare la realizzazione dell’”Africa che vogliamo”, nell’ambito dell’Agenda 2063”. 

Durante questa giornata, vengono organizzati eventi e manifestazioni in tutto il continente per promuovere la consapevolezza dell’importanza dell’unità africana e per discutere delle questioni che riguardano lo sviluppo economico, sociale e politico dell’Africa. 

La Giornata dell’Africa è anche un momento per celebrare la diversità culturale del continente e per onorare le realizzazioni dei popoli africani in vari campi, tra cui l’arte, la musica, la letteratura, lo sport e la scienza.

RUOLO INTERNAZIONALE 

Malgrado le evidenti pressioni e criticità interne, il continente africano, è riuscito – soprattutto nell’ultimo anno – a mostrare una certa rilevanza a livello internazionale. 

L’invasione russa in Ucraìna ha fornito all’Africa un ruolo di attore chiave nel mondo. E lo hanno dimostrato gli incontri tra i leader africani (compreso Macky Sall quando era presidente di turno dell’UA) e quelli russi e ucraini.

Non solo i ministri di questi paesi, ma gli stessi presidenti, Putin e Zelensky. Ma lo dimostrano anche le visite nel continente di numerose altre delegazioni, compresa quella della vice presidente statunitense, Kamala Harris, qualche mese fa.

Così, mentre alcuni analisti sostengono che il ruolo dell’UA nella mediazione dei conflitti tra gli Stati membri e nella promozione dell’unità rimane la sua principale debolezza, lentamente sale la voce dell’Africa a livello internazionale.

Il conflitto tra Russia e Ucraìna ha mostrato subito un aspetto: la capacità degli Stati africani di non adeguarsi a vecchie logiche di legami consolidati (unilateralmente) dai paesi coloniali e anzi mostrando allineamenti diversi e autonomi. Tanto che si parla di un ruolo possibile di paesi africani nell’apertura di trattative di pace (o almeno di dialogo) tra Putin e Zelensky.

OBIETTIVO G7

Inoltre, negli ultimi anni, gli attori che giocano un ruolo economico in Africa sono moltiplicati e sono più forti di quanto sia l’Unione Europea o i singoli paesi che la compongono. Ed è anche per questo che da tempo si riflette sulla necessità di includere l’Africa nel G20. Sarebbe una scelta che metterebbe fine alla marginalizzazione del continente.

“Nonostante la sua importanza come l’ottava economia globale – ha scritto l’Economist – il continente africano è marginalizzato nell’attuale ordine mondiale. I 55 membri dell’Unione Africana, che rappresentano oltre 1,3 miliardi di persone, rappresentano insieme meno del 4% del commercio globale, degli investimenti diretti esteri, delle emissioni globali e persino del debito pubblico”.

Intanto, è dal G7 del 2001 – che allora era G8 con la presenza della Russia poi uscita dal consesso – che l’Africa vi prende parte con alcuni dei suoi capi di Stato. 

Fu la presidenza italiana a inaugurare, quell’anno, il “segmento africano”. 

Quest’anno, oltre ad alcuni leader (non è stato invitato Cyril Ramaphosa, notoriamente vicino alla Russia), il primo ministro giapponese ha invitato l’Unione Africana, nella figura del suo presidente di turno, Azali Assoumani.

COMMERCIO E SVILUPPO

La consapevolezza di quanto il continente può offrire è diffusa in Europa. E lo è anche in Italia. Così come lo sanno quelle piccole, grandi imprese e multinazionali che nel continente sono sempre più numerose.

Maggiori occasioni e partnership hanno reso (o dovrebbero rendere) gli Stati africani e i loro leader più forti a livello “contrattuale”. Forza che può dare però risultati solo se non viene indebolita dalla cattiva gestione (anche delle proprie risorse), dall’avidità e incapacità – o mancanza di volontà – di programmare sul lungo termine, dalla disunità e interessi personalistici profondamente in contrasto con i principi di coesione e crescita comune.

A proposito di crescita, l’atto più significativo dell’UA in questo senso è stata la nascita dell’African Continental Free Trade Area (AfCFTA/ZECLA), varata ufficialmente nel 2021, potenzialmente la più grande zona di libero scambio del mondo. Atto che dovrebbe agevolare una reale integrazione intercontinentale.

Ma un passo avanti e due indietro non sono garanzia che chi ha in mano le sorti del continente sappia gestire tante potenzialità: economiche, geopolitiche, persino demografiche vista la grande – ma ancora inesplorata e sottovalutata – ricchezza che sta nella giovane popolazione africana.

Il rapporto Amref si sofferma poi sul volto dinamico e innovativo del continente, quello che mostra l’innovazione tecnologica e digitale che stanno vivendo alcune realtà africane. 

D’altra parte, i dati del Global Startup Ecosystem Report (GSER) raccontano che gli investimenti nelle startup tecnologiche africane (esclusa la regione Mena, Medio oriente e Nordafrica) nel 2021 sono aumentati del 113% rispetto al 2020.

Dati che si affiancano all’Indice di innovazione globale dell’Ompi (l’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale) che segnala come 16 delle 25 economie analizzate nella regione subsahariana abbiano migliorato l’andamento dei loro mercati proprio grazie a soluzioni tecnologiche di ultima generazione.

D’altra parte, non è da oggi che in Uganda e in Kenya, per fare un esempio tanto pratico quanto oramai risaputo, i pagamenti tramite smartphone sono diventati la norma. E non da oggi, visto la crescita esponenziale a partire dagli anni Duemila.

Tutto questo grazie all’incremento delle reti di telefonia mobile che, tra il 2007 e il 2016, ha registrato un aumento del 344%. Non a caso, le previsioni del Global System for Mobile Communications raccontano che, entro il 2025, almeno mezzo miliardo di persone nel sud del Sahara usufruirà di una connessione dal proprio cellulare.

RAPPRESENTAZIONE MEDIATICA

Malgrado quest’enorme potenziale di sviluppo, l’Africa nei media italiani è fuori dal radar delle notizie quotidiane. 

Non pervenuta, o meglio, se pervenuta è sottorappresentata nei luoghi comuni del sottobosco dell’immaginario collettivo. 

Raccontata quando e se sbarca, quando commette reato diventando un problema di sicurezza.

Narrata per luoghi comuni e falsi miti, giusto per incrementare (se mai ce ne fosse bisogno) i nostri pregiudizi, le idee precostituite, l’immagine di un continente omogeneo, dove ci possono essere anche 54 paesi, ma Africa è una, e per un’indistinta Africa si racconta. 

Un maxi-contenitore, buono per tutte le stagioni.

Anche per questa quarta edizione del rapporto l’Africa MEDIAta, presentato oggi a Roma da Amref Health Africa-Italia in occasione dell’Africa Day.

L’importante report, curato dall’Osservatorio di Pavia, ci restituisce come i media italiani raccontano il continente (sempre nero), con diverse ombre, sempre le stesse, e qualche luce: tra le prime la marginalità delle notizie su Africa, persone afro o afrodiscendenti; tra le seconde le potenzialità delle startup tecnologiche africane, cresciute nel 2021, rispetto all’anno precedente del 113% per investimenti.

Il rapporto si apre con l’Africa nei quotidiani, un’analisi delle prime pagine di sei testate italiane (AvvenireCorriere della SeraIl Fatto QuotidianoIl GiornaleLa RepubblicaLa Stampa). Un anno di monitoraggio, il 2022, che mette in luce come il continente sia apparso in 953 notizie, ovvero in media 13 volte al mese (-3 rispetto al 2021).

Se si mettono a fuoco le news si scopre che, nell’84% dei casi, queste raccontano l’Africa che sta qui, ovvero riguardano fatti ambientati in Italia o comunque in altri paesi, sempre occidentali. 

L’Africa è un continente narrato ben poco.

E ha una sorta di omogeneità, rispetto agli anni scorsi, anche la notiziabilità dei temi, sempre legati alla sicurezza e ai flussi migratori (69,1%). 

Il restante 16,2% di notizie, ambientate in Africa, si focalizzano maggiormente su guerra e terrorismo (36,4%), e poi migrazioni e politica.

Se si lasciano i giornali di carta per cercare di comprendere quale sia la copertura dell’Africa nei notiziari di prima serata delle sette reti generaliste di Rai, Mediaset e La7, si nota che si conferma una tendenza già nota nel 2020: le notizie sull’Africa si riducono di continuo.

Nell’insieme dei Tg analizzati dal report di Amref, vengono rintracciate soltanto 1.174 notizie pertinenti, il 22% in meno rispetto al 2021. 

E anche qui, come per i quotidiani, l’attenzione si concentra sui flussi migratori e sulla gestione dell’accoglienza (74% delle notizie).

Prevale il binomio Africa-emergenza migratoria, soprattutto se collegata ad alcune notizie diventati casi politici, come il caso della Ocean Viking.

L’unica nota diversa, per il 2022, è che sui tg diminuiscono le news su guerra e terrorismo a favore di notizie su viaggi istituzionali di ministri italiani in Africa, forniture di gas, COP27 (per cui si parla del continente per parlare di quanto abbiamo la necessità di stringere accordi che ci liberino dalla dipendenza russa in tempi di crisi energetica). 

A questo si aggiunge qualche evento di cronaca rilevante, come è stata la vicenda legata alla famiglia del deputato Soumahoro.

Che il continente sia marginale, è un dato di fatto anche quando si esce dai luoghi preposti a dare notizie per entrare nei programmi di informazione, sempre trasmessi dalle sette reti generaliste. Anche qua, su 61.320 ore trasmesse, sono stati rilevati solo 700 riferimenti all’Africa, in media un riferimento ogni 87 ore di programmazione.

E sempre per descrivere una omogenea realtà, priva di specificità, di guerre, fame e miserie. Unica novità, data dalla guerra in Ucraina, il farsi largo della distinzione tra rifugiati veri e quelli di comodo. 

Perché non tutte le guerre sono uguali, quelle vicine ai confini europei sono più guerre di altre.