Nel suo rapporto biennale svelato giovedì 22 giugno, “Aiuto alla Chiesa che soffre” è preoccupato per un degrado, su scala globale, del livello di violenza e repressione contro le comunità religiose. In particolare, la pandemia di Covid e lo scoppio della guerra in Ucraina hanno contribuito a peggiorare la situazione.

Una “situazione di impunità senza precedenti”, mentre “più della metà della popolazione mondiale vive in paesi in cui la libertà religiosa viene violata”. 

Questa è l’allarmante osservazione esposta, giovedì 22 giugno, dalla fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre

Secondo lo studio della fondazione pontificia, questa libertà sarebbe addirittura fortemente peggiorata in 47 Stati dei 196 studiati tra gennaio 2021 e dicembre 2022, dal precedente rapporto del 2021.

Come spiegare questo nuovo declino, portando a 61 il numero di paesi – in cui vivono più di 4,9 miliardi di abitanti – interessati da queste violazioni?

È in un contesto generale colpito dalle conseguenze della pandemia di Covid, dalla guerra in Ucraina, dalle tensioni internazionali e dal rapido aumento del costo della vita in tutto il mondo”, sviluppa il rapporto. 

Un altro fatto preoccupante, i colpevoli “sono raramente, se non mai, perseguiti dalla giustizia in 36 paesi(ovvero il 18% del panorama, nota dell’editore)”. 

L’Africa, il continente più colpito

Violenza sessuale, conversioni forzate, rapimenti… 

Secondo il documento redatto da una trentina di esperti indipendenti e coordinato dalla sede internazionale dell’associazione nata nel 1947, oltre a 33 stati in cui i credenti subiscono discriminazioni, 28 paesi sperimenterebbero oggi un forte livello di “persecuzione”,di cui una maggioranza (13 di loro) in Africa. 

Tra le cause, il contagio nel continente dei gruppi jihadisti e l’espansione di “califfati opportunisti”(in RDC, in Mozambico…), ma anche più in generale gli abusi di gruppi armati – jihadisti, militari, paramilitari o criminali… – che vi moltiplicano sul campo massacri, saccheggi e rapimenti.

Come tale, la regione del Sahel è ancora oggetto di particolare preoccupazione.

 “Lì scompaiono comunità cristiane”, deplora monsignor Laurent Dabiré, presidente della Conferenza episcopale del Burkina-Niger e vescovo di Dori, nel nord-est del Burkina Faso. 

Una volta considerato un modello di convivenza interreligiosa pacifica, il suo paese natale è infatti vessato, dal 2015, da una grave crisi politica e di sicurezza.

“Poteri nazionalisti in Asia”

In Asia, dove le tecnologie digitali costituiscono uno strumento di maggiore sorveglianza (Cina, Uzbekistan, Bangladesh…), “i poteri nazionalisti etnoreligiosi strumentalizzano la religione per scopi politici attraverso leggi anti-conversione e anti-blasfema che opprimono le minoranze religiose”,deplora ancora la fondazione pontificia.

 “Alcuni regimi autoritari rappresentano ancora una grande minaccia (Corea del Nord, Cina…)”.

In America Centrale il Nicaragua è dove la Chiesa soffre “di un’oppressione esponenziale da parte del governo di Daniel Ortega, da quando ha iniziato, in particolare, a denunciare le violazioni dei diritti umani nel paese”.

In mezzo a questo quadro fosco, la fondazione pontificia, tuttavia, rileva alcuni miglioramenti, riguardanti nove paesi. 

In primo luogo, l’isola del Madagascar – quest’anno tornata nel grembo dei paesi classificati “in osservazione”-, le autorità locali sono riuscite ad arginare l’espansione islamista che minacciava dal vicino Mozambico.