L’ennesimo colpo di Stato nel Sahel rivela da un lato le cicatrici non guarite del dopo Gheddafi e dall’altro il sentimento antifrancese delle ex colonie e il sedicente messianismo della Russia.

Analisti geopolitici e giornalisti si chiedono quale sia la paternità del recente golpe in Niger che vede deposto il presidente Mohamed Bazoum ad opera del generale Omar Tchiani.

Paese ricco in uranio rappresenta un’importante fonte di approvvigionamento di materia prima per le centrali nucleari della Francia. 

È in atto nella regione subsahariana una “sostituzione strategica” tra Francia e Russia attraverso la compagnia Wagner.

Chi fa la vera parte del leone, tuttavia, è oggi la Cina con qualche timido accenno della Turchia con il soft power degli scali aerei nel Continente e i suoi agenti di influenza.

I disordini seguiti alla caduta di Gheddafi, fortemente voluta dall’allora presidente francese Sarkozy, hanno ingenerato una certa insicurezza nella regione.

I francesi non hanno saputo tenere a bada gli effetti della caduta del Colonnello libico con la proliferazione di bande armate, miliziani e prigionieri evasi grazie ai tumulti rivoluzionari della Libia.

I primi ad averne fatte le spese sono stati il Mali e il Burkina-Faso, paesi fino a quel momento tranquilli, nei quali ha preso il sopravvento un sentimento antifrancese.

Parigi, infatti, non è riuscita ad evitare il terrorismo islamista e porta ancora il marchio dell’infamia coloniale.

La condanna morale della comunità internazionale nei confronti dei golpisti guidati dal generale Abdourahmane Tchiani è stata unanime.

All’indomani del colpo di Stato in Niger, la premier Meloni in visita negli USA ha messo sul tavolo delle trattative con Biden proprio la stabilizzazione dell’Africa.

I più esperti escludono tuttavia una longa manus russa.

La guerra in Ucraina, la marcia di Prigozhin su Mosca, le promesse mancate, non depongono di certo a favore della credibilità dello zar russo.

Dal suo ritorno al Cremlino nel 2012, Vladimir Putin ha fatto solo quattro viaggi in Africa, ogni volta in Egitto e in Sudafrica.

Nonostante la propaganda che presenta la Russia come il salvatore degli africani, la riluttanza di Putin a visitare le capitali africane dimostra la mancanza di interesse del suo paese per l’Africa. 

Inoltre, il posizionamento della Russia nei confronti del continente si evolve in base alle proprie esigenze.

Le numerose promesse di aiuti fatte all’Africa, in particolare in carburante, fertilizzanti e altri alimenti, non si sono mai concretizzate. Tuttavia, hanno portato la Russia a adottare una postura paternalistica.

La partnership commerciale russa è un primo miraggio. 


Mentre quattro anni fa, a Sochi, Vladimir Putin si era impegnato a raddoppiare in cinque anni il livello degli scambi commerciali tra Russia e Africa, questi sono piuttosto diminuiti del 14% nel 2021, con un calo del 30% durante la pandemia nel 2020.

Concretamente, gli scambi del continente con la Russia ammontano a 14 miliardi di dollari, ovvero il 2% del volume totale di commercio in Africa. 

A titolo di confronto, il valore del commercio africano con l’Unione europea (UE) è di 295 miliardi di dollari, con la Cina di 254 miliardi e con gli Stati Uniti di 65 miliardi.

Peggio ancora: oltre il 70% dell’intero commercio russo con l’Africa è concentrato in quattro paesi: Egitto, Algeria, Marocco e Sudafrica. 

Le esportazioni russe verso l’Africa sono sette volte superiori alle esportazioni africane verso la Russia, il che le differenzia dai portafogli commerciali più equilibrati dei principali partner commerciali dell’Africa.

La Russia usa i paesi africani come semplici spaventapasseri per contrastare il suo isolamento internazionale, creando artificialmente un gruppo di paesi che sembrano allineati con il Cremlino.

Quanto alla cooperazione per la sicurezza, va ricordato, che un rapporto dell’ONU del 22 marzo 2023, ha affermato che il numero di civili uccisi in Mali è aumentato del 54% tra il 2021 e il 2022, cioè da 584 persone uccise a 1.277. 

Gli autori del rapporto hanno anche rilevato un aumento del 35% delle violazioni dei diritti umani (feriti, sparizioni, stupri) attribuite all’esercito maliano e ai suoi “alleati” dei mercenari del gruppo Wagner, già coinvolti in molteplici abusi. 

Sfortunatamente, queste cifre non includono le violazioni denunciate a Moura, nel marzo 2022, durante le quali sono stati massacrati tra 200 e 600 civili.

Come ciliegina sulla torta, i mercenari di Wagner costerebbero al Mali 10 milioni di dollari al mese.

Nel frattempo, gli attacchi terroristici si moltiplicano… 

Inoltre, secondo la Deutsche Welle, Wagner addebita la sua presenza al governo maliano per 103 milioni di euro all’anno, ovvero il 45% del bilancio sanitario nazionale.

La Repubblica Centrafricana paga non meno di 600 mila a settimana il che non impedisce il degrado della situazione di sicurezza in questo paese. 

Non si può inoltre dimenticare l’accordo di cooperazione militare firmato nell’aprile 2022 con il Camerun, che non ha ancora prodotto i risultati attesi: ad esempio, il rilancio degli elicotteri MI-17 per il trasporto di truppe dell’esercito camerunese che si diceva imminente, grazie a questo accordo, si fa sempre attendere.

Il rifiuto della Russia di prolungare gli accordi sul Mar Nero rende le esportazioni di cereali uno strumento di ricatto che però penalizza soprattutto l’Africa.

L’imminente incontro dei leader africani a San Pietroburgo è stato ridimensionato nella sua durata per motivi di sicurezza dovuti agli attivisti razzisti della Russia che hanno annunciato manifestazioni contro gli invitati.

Oltre ad essere il sintomo dell’incapacità della Russia di condurre una normale cooperazione con i paesi dell’Africa, questo curioso svolgimento getta una luce cruda sulla scarsa affidabilità di Mosca come partner per lo sviluppo dell’Africa e solleva domande sui suoi veri disegni.