EDITORIALE: Nella storia recente dell’America Latina, l’immagine del dittatore con il rosario tra le dita e il sangue sui guanti è una tragica costante. Jorge Rafael Videla in Argentina e il maggiore Roberto d’Aubuisson in El Salvador erano entrambi sedicenti cattolici praticanti. Il primo, generale della giunta militare argentina, non esitava a ricevere l’Eucaristia mentre ordinava la sparizione forzata di migliaia di persone. Il secondo, fondatore degli squadroni della morte salvadoregni, si proclamava difensore della “civiltà cristiana” mentre faceva giustiziare vescovi e catechisti. Dietro le parvenze di religiosità, si celava una fede svuotata, strumentalizzata per benedire la violenza e neutralizzare ogni forma di opposizione morale.
Queste aberrazioni non sono semplici deviazioni del passato. Oggi vediamo rigurgiti simili, seppure sotto altre forme. L’ostentazione pubblica della fede cattolica – in rosari, Bibbie aperte, richiami alla “cultura della vita” – si mescola pericolosamente con politiche estere che seminano morte. Esponenti politici americani, dichiaratamente cristiani, si dicono “pro-life”, ma avallano invii miliardari di armi in Ucraina, in Israele e in teatri bellici dove a morire non sono idee, ma bambini, famiglie, innocenti.
È un paradosso che urla. Si difende la vita solo quando è non nata, e si tace – o si giustifica – quando quella stessa vita viene spezzata da un drone, da un’esplosione, da un’arma con impressa la bandiera a stelle e strisce. È l’ipocrisia strutturale del potere che strumentalizza Dio per rafforzare il proprio dominio. Una fede usata come foglia di fico, utile per coprire le contraddizioni, anestetizzare le coscienze, galvanizzare le masse. La fede autentica, invece, non si piega alla logica dei blocchi e delle bombe. Gesù non ha mai benedetto le spade degli imperatori.
Papa Francesco, più volte, ha denunciato l’indecente commercio delle armi, il “peccato strutturale” dell’economia bellica, le guerre combattute per procura da potenze che parlano di pace mentre armano la distruzione. La “terza guerra mondiale a pezzi” ha attori precisi. E molti di essi invocano Dio, portano la croce al collo, pregano pubblicamente, ma negano Cristo nei fratelli massacrati.
Non si tratta di essere antiamericani, ma di essere evangelici. La denuncia profetica non può tacere davanti a chi usa la fede per legittimare la forza, l’occupazione, il dominio. La Chiesa ha il dovere di smascherare ogni idolatria, soprattutto quando veste i panni dell’Altissimo per giustificare l’inferno.
Oggi più che mai serve un cattolicesimo disarmato, povero, dalla parte delle vittime, non dei loro carnefici. Un cattolicesimo che non benedice i droni ma piange con chi fugge dalle bombe. Un cattolicesimo che non si lascia incantare dalle parate, dai rosari strumentali, dai governi che dicono “Dio” ma praticano la morte.
La fede vera non è un alibi del potere. È la sua critica più radicale.