Nell’omelia tenuta per la festa della Presentazione al Tempio del Signore nella XXVI Giornata della vita consacrata dello scorso 2 febbraio, papa Francesco ha invitato a “coltivare una visione rinnovata della vita consacrata”, che tenga conto dei segnali che Dio manda – dalle crisi, al calo numerico, dall’infiacchirsi delle forze dei membri della comunità – e spinga verso un cambiamento, senza farsi “paralizzare” da paure o vecchie nostalgie, senza cadere nella rigidità che è sempre “una perversione”.
Oggi la tentazione – ha continuato il pontefice – è infatti “di andare indietro, per sicurezza, per paura, per conservare la fede, conservare il carisma fondatore. È una tentazione… La tentazione di andare indietro e conservare le ‘tradizioni’ con rigidità”. 
Quale visione abbiamo della vita consacrata?”.
“Il mondo – annota Francesco – spesso la vede come uno spreco: ‘Ma guarda, quel ragazzo così bravo, mettersi frate. Quella ragazza così brava, mettersi a suora. È uno spreco. Se almeno fosse brutto o brutta, no, sono bravi, ma è uno spreco’. Così pensiamo noi… Lo vediamo come una realtà del passato, qualcosa di inutile. Ma noi comunità cristiana, religiose e religiosi, che cosa vediamo? Siamo rivolti con gli occhi all’indietro, nostalgici di ciò che non c’è più o siamo capaci di uno sguardo di fede, lungimirante, proiettato dentro e oltre? Avere la saggezza del guardare”.E questo “lo dà lo Spirito Santo”, il quale, sottolinea il Papa, “rende capaci di scorgere la presenza di Dio e la sua opera non nelle grandi cose, nell’esteriorità appariscente, nelle esibizioni di forza, ma nella piccolezza e nella fragilità”. È lo stesso Spirito che incita al movimento. Non a caso si usa l’espressione “mosso dallo Spirito” per ricordare quelle “mozioni spirituali”, quei “moti dell’animo che avvertiamo dentro di noi e che siamo chiamati ad ascoltare, per discernere se provengono dallo Spirito Santo o da altro”. Sempre il Papa dice che “Mentre lo Spirito porta a riconoscere Dio nella piccolezza e nella fragilità di un bambino, noi a volte rischiamo di pensare alla nostra consacrazione in termini di risultati, di traguardi, di successo: ci muoviamo alla ricerca di spazi, di visibilità, di numeri. È una tentazione…Chiediamoci, fratelli e sorelle: che cosa muove i nostri giorni? Quale amore ci spinge ad andare avanti? Lo Spirito Santo o la passione del momento? Come ci muoviamo nella Chiesa e nella società? A volte, anche dietro l’apparenza di opere buone, possono nascondersi il tarlo del narcisismo o la smania del protagonismo”.Papa Francesco mette in guardia da un altro rischio: le comunità religiose “sembrano essere mosse più dalla ripetizione meccanica – fare le cose per abitudine, tanto per farle – che dall’entusiasmo di aderire allo Spirito Santo”. “Verifichiamo oggi le nostre motivazioni interiori, discerniamo le mozioni spirituali, perché il rinnovamento della vita consacrata passa anzitutto da qui”.Se ai consacrati mancano parole che benedicono Dio e gli altri, se manca la gioia, se viene meno lo slancio, se la vita fraterna è solo fatica, non è perché siamo vittime di qualcuno o di qualcosa, il vero motivo è perché le nostre braccia non stringono più Gesù. E quando le braccia di un consacrato non stringono Gesù, stringono il vuoto che cercano di riempire con altre cose. Ma c’è il vuoto.
È quando non stringiamo Gesù che “il cuore si chiude nell’amarezza”: “È triste – dice il Papa a braccio – vedere quei consacrati amari”, che “si chiudono nella lamentela per le cose che puntualmente non vanno. Sempre si lamentano di qualcosa: dei superiori, dei fratelli, della comunità, della cucina. Se non si lamentano non vivono”.C’è gente che è “amara” perché “non è capace di stringere nelle sue braccia” Cristo, è “amara” nella lamentela per le cose che non vanno “in un rigore che ci rende inflessibili e in atteggiamenti di pretesa superiorità”. Invece se accoglieremo Cristo a braccia aperte, accoglieremo anche gli altri “con fiducia e umiltà”. E allora, assicura Papa Francesco, “i conflitti non inaspriscono, le distanze non dividono e si spegne la tentazione di prevaricare e di ferire la dignità di qualche sorella o fratello”.