ANNIVERSARI: Il 1° maggio 1994, trent’anni fa, perdeva la vita al Gran Premio di Imola il pilota di Formula Uno Ayrton Senna. Da sempre considerato una leggenda del motorsport ha lasciato una traccia per la sua professionalità e la sua umanità.
In molti ricordano ancora la sua frase: «I ricchi non possono vivere su un’isola circondata da un oceano di povertà. Noi respiriamo tutti la stessa aria. Bisogna dare a tutti una possibilità».
Qualcuno ha visto in Senna l’ennesimo underdog, il ragazzo talentuoso che dalle favelas fa la scalata al successo e ai soldi, ma non è così.
Era nato ricco, da papà industriale. Andava a scuola – in un collegio privato per le classi benestanti – accompagnato da un’autista. Era cresciuto nell’agio, lontano dalla miseria di un paese complicato come il Brasile, un melting pot di razze frastagliato in classi sociali che nella vita quotidiana spesso non hanno contatti tra loro, eppure sono da sempre capaci di mescolare i sentimenti nel territorio di un sogno collettivo.
Ayrton era un ricco che aveva coscienza del proprio privilegio ma allo stesso tempo delle disuguaglianze del mondo e – nel suo privato – qualcosa aveva provato a fare, anche in vita.
Ayrton cercava una risposta a tutti i dubbi esistenziali e dichiarava: «Ho sempre avuto un contatto speciale con Dio; Lui mi ha sempre dato molto».
Il vescovo di Anapolis, Mons. Manoel Pestana, da amico del padre confidò che Ayrton recitava un’Ave Maria prima di ogni partenza.
Tre volte Campione del mondo, vincitore di 41 gare, autore di ben 65 pole position, l’ultima proprio il giorno prima della gara che fu fatale all’altro pilota Roland Ratzenberger.
Dietro al dramma che trent’anni fa scosse il mondo della Formula 1, c’è una storia di giornalismo investigativo che ha contribuito in modo significativo a portare alla luce la verità sulle cause dell’incidente.
Il processo giudiziario che ne è seguito è stato lungo e complesso, caratterizzato da cinque gradi di giudizio e oltre dieci anni di perizie e dibattimenti in aula.
Franco Nugnes, il vice direttore dell’autorevole rivista Autosprint ha giocato un ruolo fondamentale nell’individuare, passo dopo passo, la catena di eventi che ha portato alla tragedia. L’inchiesta giornalistica intitolata “Il Sospetto”, pubblicata da Autosprint il 10 maggio 1994, rappresenta un punto di svolta cruciale nella ricerca della verità sulla morte di Senna.
Adrian Newey il progettista geniale artefice del successo della Red Bull e probabile direttore tecnico Ferrari dal 2025, aveva progettato una Williams FW 16 particolarmente stretta per esigenze aerodinamiche.
Ad Imola Senna chiese una modifica al piantone dello sterzo che venne prolungato con un pezzo non assemblato in fabbrica ma improvvisato nei box della Williams nel circuito romagnolo.
Dalle numerose foto sul bolide incidentato, emerge il fusto del piantone dello sterzo distaccato, non per l’urto sulle protezioni della curva del Tamburello, ma per usura da eccessiva sollecitazione.
Quanto alla verità giudiziaria, il 27 maggio del 2005, la Corte d’Appello di Bologna assolve Adrian Newey per “non aver commesso il fatto” (la stessa formulazione della prima sentenza) e stabilisce la responsabilità di Patrick Head per le modifiche “male progettate e male eseguite” sul piantone dello sterzo di Ayrton, anche se il reato è estinto per sopraggiunti termini di prescrizione. Il 13 aprile 2007, a quasi 13 anni dall’incidente del 1° maggio 1994, la Cassazione rigetterà la richiesta di assoluzione con formula piena avanzata dai legali del co-fondatore della Williams.
La salma di Ayrton fu trasportata in Brasile che visse tre giorni di lutto nazionale con gli onori degni di un eroe mitologico. La gente si riversò in strada per rendere omaggio al suo campione.
Il mondo dell’automobilismo perse anzitempo la sua stella più luminosa. I freddi numeri delle sue vittorie e pole position non rendono neppure lontanamente l’idea della grandezza del pilota e della persona, impegnato in azioni di solidarietà che avevano ridato speranza al suo Brasile. Oggi, a quasi trent’anni dalla sua scomparsa, basta ancora evocare il suo nome per veder brillare degli occhi dall’emozione.
Pochi mesi prima della sua morte, Ayrton espresse alla sorella Viviane il desiderio di voler fare qualcosa di concreto per il suo paese, il Brasile; le piccole donazioni anonime che abitualmente faceva non gli bastavano più.
Questo desiderio quindi si concretizzò pochi mesi dopo la sua morte con la fondazione che porta il suo nome; un ente privato, che ha un solo e semplice obiettivo: regalare una possibilità a chi nella vita non ne ha mai avuta una.
Rimane impressa una frase: «È strano. Proprio quando penso di essere andato il più lontano possibile, scopro che posso spingermi ancora oltre».