Polibio, un grande storico greco, diceva che le guerre hanno tre cause:

c’è la pròfasis che è la scusa, la bella facciata, quella che viene raccontata al popolo per giustificare il sacrificio che gli si chiede;

poi c’è la aitìa che è la causa effettiva della guerra che viene nascosta ed è quasi sempre collegata a un interesse economico e infine c’è l’archè che è invece la scintilla, l’inizio vero e proprio della guerra, la classica goccia che fa traboccare il vaso e ne dà il pretesto.

Nella storia di tutte le guerre, anche quelle apparentemente combattute per grandi ideali, si nascondono sempre queste tre diverse facciate.

La guerra di secessione degli Stati Uniti, per esempio, è stata apparentemente combattuta per liberare gli schiavi di colore dalle catene degli Stati del Sud e questa fu la pròfasis, la scusa.

In realtà il conflitto venne determinato da due diverse economie a confronto: il Sud produceva ed esportava cotone a bassissimo costo potendo contare sulla manodopera degli schiavi; il Nord invece era per una politica di tipo protezionistico che tutelasse le proprie aziende dalla concorrenza spietata degli Stati meridionali. Questa fu l’aitia, ossia la vera ragione.

Al Nord, inoltre, serviva manodopera per dare impulso al nascente capitalismo industriale. Affrancare i neri significava trasferirli nelle proprie fabbriche togliendoli dai campi. La scintilla dette il via alle ostilità, cioè l’archè, fu la dichiarazione di indipendenza firmata da alcuni Stati del Sud che formarono nel 1861 la cosiddetta Confederazione separandosi così dall’Unione.

La stessa tripartizione delle ragioni di un conflitto la troviamo ancora nell’Unità d’Italia, apparentemente combattuta per unire la nostra Nazione.

In realtà fu voluta e finanziata dall’Inghilterra che temeva l’espansione della Francia e voleva che si formasse a sud uno stato cuscinetto. La spedizione dei Mille di Garibaldi fu la scintilla che generò poi tutto il resto.

Nella Prima Guerra Mondiale la causa occasionale fu l’eccidio di Sarajevo il 28 giugno 1914 in cui trovarono la morte l’arciduca ereditario d’Austria Francesco Ferdinando e la moglie per opera di uno studente serbo.

Le vere cause della guerra furono però il contrasto austro-russo per l’egemonia dei Balcani e il contrasto tra francesi e inglesi da un lato e la Germania dall’altro che stava diventando una potenza militare tale da controllare l’Europa intera.

In Italia abbiamo giustificato addirittura l’entrata in conflitto come una guerra di indipendenza per ottenere Trento e Trieste al prezzo elevatissimo di giovani vite di soldati.

Anche nella guerra tra Russia e Ucraina è possibile ritrovare la profasis, la aitia e l’archè e siccome come diceva Pirandello “alla corda della ragione non si dà mai un taglio netto “, bisogna trovare ragioni e torti da ambedue i fronti.

La profasis è l’invenzione di Putin di “denazificare” l’Ucraina, una parola che viene spesso ripetuta e utilizzata come giustificazione per l’invasione dell’Ucraina.

Questa retorica si fonda su un timore presente nell’immaginario politico russo motivato per la prima volta dalla cosiddetta operazione Barbarossa del 1941 con cui la Germania di Hitler aveva fatto irruzione nell’Unione Sovietica di allora.

Da quel momento, il timore nei confronti del nazismo, è rimasto vivo ai vertici politici della Russia e si è riacceso nel 2014 quando i separatisti filorussi proclamarono le repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk, due territori appartenenti all’Ucraina.

È iniziato così un sanguinoso conflitto in cui hanno perso la vita ben 14.000 persone e di cui poco hanno parlato i giornali.

In questa guerra si è distinto per le sue atrocità un corpo militare, “Il Battaglione Azov”.

Si tratta di un reparto dell’esercito ucraino composto da neofascisti spalleggiati dell’estrema destra europea; già vedere le loro bandiere sembra di ritornare alla svastica hitleriana.

Questo corpo paramilitare ha commesso abusi e torture nei confronti dei separatisti filorussi riconosciuti come crimini di guerra nel 2016 dall’Alto Commissariato dell’ONU per i diritti umani.

Questo battaglione è un ibrido tra un corpo di difesa del territorio e un’organizzazione criminale.

Il problema però è sorto perché il presidente ucraino Zelensky non ha mai preso le distanze apertamente da loro, né ha mai disposto lo scioglimento.

Del resto anche Putin si avvale di gruppi di ceceni altrettanto sanguinari o recruta decine di migliaia di mercenari attraverso la cosiddetta “Compagnia Wagner”.

Questi gruppi paramilitari vengono utilizzati nei conflitti per le operazioni più sporche.

Il Battaglione di Azov ha però offerto a Putin il pretesto per generalizzare e cioè Identificare il governo ucraino e la sua popolazione con i neonazisti.

C’è anche un’altra pròfasis nel conflitto in Ucraina in quanto è presente una grande componente etnica russa e molti ucraini parlano in russo, anzi alcuni si sentono russi.

Per Putin queste persone, non solo sarebbero state ingiustamente separate dalla loro patria, ma subirebbero anche campagne di pulizia etnica da parte del “governo neonazista”.

La ricerca della vera causa di questo conflitto, la aitia, non è unica.

Ce ne sono diverse.

Putin dà anche la colpa all’estensione della NATO a Est, ma la richiesta di integrazione nel Patto Atlantico è stata fatta dai singoli stati dell’Europa dell’Est e non imposta dalla NATO!

Se uno Stato chiede di aderire alla NATO è perché evidentemente si sente minacciato ad Est e non ad Ovest.

Dobbiamo peraltro ricordare che la NATO è un’organizzazione di difesa e non di attacco. è una sorta di assicurazione, quindi avere uno Stato della Nato confinante non è in realtà un pericolo.

La NATO è allora un’altra profasis di Putin o al massimo l’arché della guerra.

È altrettanto vero che nella politica estera bisogna saper scegliere il momento migliore per muovere dei passi che nella diplomazia contano moltissimo.

La richiesta di adesione alla NATO, nella fattispecie, poteva essere posticipata ad un periodo in cui il clima internazionale si fosse rasserenato.

Se l’Ucraina ha insistito è perché evidentemente sapeva che la Russia si preparava a ghermirla.

La aitia della guerra, ossia la vera causa, è quindi abbastanza scontata.

L’Ucraina è uno dei paesi più ricchi d’Europa a livello di materie prime; è pieno di centrali nucleari, di grano “a non finire” e di manodopera.

È soprattutto il ponte di passaggio dei gasdotti ed è qui che viene il bello.

In Ucraina si stava formando un movimento rivolto ad esigere da Putin i diritti di servitù di passaggio sui gasdotti russi che attraversavano il proprio territorio.

Inutile dire che il leader del Cremlino ha risposto con un atto di forza credendo che avrebbe trovato la strada spianata come era stato in Crimea, tant’è che non aveva neanche detto ai propri soldati a quale missione fossero diretti.

Torniamo ora al gruppo “neonazista” del Battaglione di Azov.

È vero, Zelenski non è uno stinco di santo, non lo è Putin e non lo sono neanche gli Stati Uniti, che in materia di politica estera hanno creato numerosi danni a fronte del grande merito averci liberato dai Nazisti durante la Seconda Guerra mondiale, ripristinando la democrazia in Europa.

Il Battaglione di Azov, composto da soli duemila miliziani, principalmente volontari, non rappresenta l’Ucraina.

Nel momento in cui Putin attribuisce le mostruosità di questa formazione all’intera nazione Ucraina sta solo tentando di giustificare un’aggressione ancora più spietata.

È fondamentale ricordare che quella della denazificazione per Putin rappresenta un pretesto per raggiungere scopi strategici e che per farlo si sta macchiando degli stessi crimini di guerra che recrimina ai battaglioni ucraini di estrema destra.

È come se l’Italia intera venisse bombardata solo perché qualche partito che è stato al governo ha preso i voti da Forza Nuova, organizzazione che come sappiamo è stata ora sciolta perché è dichiarata illegale.

A ben vedere, Putin, che è contrario al nazismo – e chi non lo è? – ha comunque finanziato tutte le destre anti europee, basti pensare agli scandali con Le Pen e Salvini.

A a questo punto torna in mente un dialogo della Genesi in cui il Signore voleva distruggere Sodoma e Gomorra ma Abramo gli disse: “se forse ci sono cinquanta giusti nella città, farai in tal caso davvero perire anche quelli e non perdonerai quel luogo per amore dei cinquanta giusti che vi sono?”

Il Signore disse: “se trovo nella città di Sodoma cinquanta giusti perdonerò gli abitanti di quel luogo per amor loro”.

Abramo continuò: “se forse ne troverai quaranta di giusti, che farai?

Il Signore rispose: “non lo farò per amore dei quaranta” e così via fino a quando Abramo disse al Signore: “Forse i giusti sono solo dieci…” e il Signore promise che in nome di solo dieci giusti non avrebbe distrutto nulla…

La ragion di Stato non applica questa dinamica trincerandosi dietro “il principio” della tollerabilità del danno collaterale.

Il problema è che le vittime sono sempre la povera gente.

La guerra è sempre sbagliata indipendentemente da quale sia la profasis la aitia e l’arché.