La partecipazione dell’Italia alla missione Aspides avrà uno scopo esclusivamente difensivo con una risposta politica di sudditanza agli USA, ma di prestigio a livello europeo e regionale. Quanto alla nostra Marina è un’occasione per mantenere efficiente il dispositivo navale tecnico e umano, a vantaggio della difesa al Paese.

“L’Italia diventerà un obiettivo se si unirà all’azione contro lo Yemen”. 
È quanto ha dichiarato Mohamed Ali al Houthi, uno dei principali leader Houthi, in un’intervista al quotidiano Repubblica. 

Il nostro paese inizierà il 19 febbraio l’operazione Aspides, una missione organizzata dall’Unione europea nel Mar Rosso per proteggere le navi mercantili dagli attacchi degli Houthi, gruppo armato sciita e filoiraniano dello Yemen.

Gli Houthi, in realtà, hanno dichiarato di colpire solo le navi legate agli interessi di Israele o battenti la bandiera con la stella di Davide.

Il loro movente è la dissuasione dal perpetrare attacchi a Gaza che finora hanno fatto quasi 30 mila vittime tra civili palestinesi, senza contare anche i soldati israeliani uccisi nel conflitto contro Hamas.

È evidente la sproporzione delle misure tattiche per l’eradicazione dei terroristi, qualora fosse possibile, con le vittime collaterali.

Non a caso il Sudafrica ha avuto il coraggio di tradurre in giudizio Israele al Tribunale penale internazionale dell’Aja con l’accusa infamante, ma tecnicamente appropriata, di genocidio.

L’Italia, che possiede una base militare nell’enclave di Gibuti e controlla già il Mar Rosso con una fregata classe Bergamini, nell’ambito delle operazioni internazionali anti-pirateria, affronta un nuovo impegno contro i droni armati degli Houthi.

Poco si è parlato degli assetti navali schierati e del senso e dei costi dell’operazione.

Non si tratterà di sferrare attacchi alle postazioni dei ribelli Yemeniti
così come hanno fatto gli USA e la Gran Bretagna

Per scelta costituzionale l’Italia ripudiando la guerra non dispone di missili per operazioni di profondità ad oltre 1000 Km. Non si tratterà quindi di sferrare attacchi alle postazioni dei ribelli Yemeniti così come hanno fatto gli USA e la Gran Bretagna inviando anche aerei per bombardare.

Sembra ufficiale il dispiegamento del cacciatorpediniere Andrea Doria, dotato degli ultimi ritrovati tecnologici per la piattaforma di navigazione e quella di combattimento.

Disponendo di un radar di scoperta aerea tra i più performanti al mondo è in grado di individuare preventivamente le minacce da lunga distanza e neutralizzarle sia a livello missilistico oltre i 100 Km, che con cannoncini super rapidi se si dovessero avvicinare sciami di piccoli droni armati.

Dal dopoguerra in poi, oltre alla sudditanza con gli Usa, dettata dagli oltre 100 trattati, di cui l’opinione pubblica sa poco o nulla, il vero vantaggio per l’Italia è l’esercizio difensivo in un teatro reale da parte della Marina Militare.

Investire in armamenti per la difesa ed essere poi
incapaci di proteggere il Paese, è inutile.

Essendo i droni a controllo remoto, la loro neutralizzazione non comporterà vittime umane, ma incentiverà le fabbriche iraniane alla moltiplicazione di queste diavolerie letali.

Quanto alle minacce di atti terroristici in Italia, l’attentato alla chiesa degli italiani in Instanbul di pochi giorni fa, rivela ostilità e atti dimostrativi possibili più su obiettivi nazionali all’estero che sul suolo italiano.

L’escalation militare, tuttavia, non promette mai bene, infatti Mohamed Ali al Houthi ha concluso la stessa intervista lanciando un avvertimento agli Stati Uniti dopo i recenti raid aerei contro le postazioni Houthi: “Questi bombardamenti non intaccano le nostre capacità. Gli americani e i britannici devono comprendere che siamo pronti a rispondere. Se gli Stati Uniti inviano truppe nello Yemen, dovranno affrontare sfide più ardue di quelle in Afghanistan e Vietnam”.

È improbabile un’operazione militare terrestre in Yemen e il tutto si risolve con minacce verbali e attacchi bilaterali dall’aria.

Almeno per ora.