C’era una volta il Covid, poi è scoppiata la guerra…

Le emergenze rappresentano uno strumento di potere cui ricorrono i leader autocratici.

In un saggio illuminato e premiato di Moisés Naim, questi governanti vengono classificati secondo l’acronimo delle 3P.

Ottengono il potere tramite elezioni legittimamente democratiche per poi smantellare l’opposizione e la bilancia dei poteri per mezzo di populismopolarizzazione e postverità.

Il catastrofismo, la criminalizzazione degli avversari politici, il ricorso a minacce esterne, il timore di essere invasi da stranieri o di perdere l’identità nazionale, la paranoia contro i media e il messaggio messianico rientrano nella retorica dell’autocrate 3P.

Il potere autocrata alimentato dalle emergenze o contingenze, non è una novità.

Lo studioso di diritto e fascista Carl Schmitt sottolineava, negli anni trenta, come in qualunque sistema di diritto il potere definitivo fosse immancabilmente la facoltà di dichiarare un’eccezione. 

Nelle mani di apologi del nazismo come Schmitt, questa dottrina dell’eccezione divenne la giustificazione giuridica dell’Ermächtigungsgesetz del 1933, la Legge dei Pieni Poteri che conferiva ad Adolf Hitler facoltà di legiferare senza bisogno dell’approvazione del Reichstag, il parlamento tedesco. 

In base a quella legge, l’eccezione era divenuta la norma.

L’emergenza si fece permanente, finendo per tradursi nel Führerprinzip, la dottrina formale per cui la sola parola del Führer aveva più valore giuridico non solo delle politiche, dei regolamenti e delle prassi del governo, ma addirittura della legge scritta.

 Il governo dell’eccezione è diventato un pilastro del governo autoritario anche dopo la guerra, e l’esempio più eclatante è l’Egitto, gestito sulla base di una “legge d’emergenza” che ha sospeso le libertà civili fondamentali (compresa la libertà di parola e di habeas corpus) più o meno continuativamente dal 1967 al 2011. 

Ma anche paesi assai diversi tra loro come Argentina, Grecia, India, Pakistan, Sierra Leone, Spagna e Thailandia hanno trascorso considerevoli lassi di tempo in stato d’emergenza nel periodo della Guerra fredda. 

Nel 2008, Silvio Berlusconi è stato tra i pionieri del ricorso ai poteri d’emergenza attuando un giro di vite populista sull’immigrazione, con l’approvazione di un decreto draconiano che permetteva al governo di prendere le impronte digitali a tutte le persone di etnia rom del paese.

Nel 2020, grazie alla pandemia la Russia Ha potuto lanciare la videosorveglianza di massa su una scala mai vista prima, con un software di riconoscimento facciale collegato alle telecamere di sicurezza in tutto il paese con la scusante di tracciare i contatti. 

In Israele, la pandemia è divenuta il pretesto per consentire allo Stato di sfruttare gigabyte di dati di localizzazione dei telefoni cellulari, individuando con precisione spaventosa la posizione esatta di israeliani e palestinesi. 

Altri paesi sono andati ben oltre nel tentativo di sfruttare l’emergenza del coronavirus per un tornaconto autocratico. 

In Ungheria Orbán ha cancellato le elezioni parlamentari e ha annunciato piani per governare per decreto, comunicando impegni vaghi e inapplicabili a invertire le misure una volta che la pandemia si fosse placata. 

E la Cina, culla del virus, ha messo fine unilateralmente allo status speciale di Hong Kong nell’ambito dell’accordo “un paese, due sistemi”, estendendo la portata delle leggi di sicurezza di Pechino a quel territorio in un momento in cui la comunità internazionale era semplicemente troppo distratta dalla crisi sanitaria globale per mostrare una vera reazione. 

L’emergenza, tuttavia, non è solo funzionale alla politica.

Anche l’economia dei pochi potenti trae giovamento dalle disgrazie altrui.

La guerra in Ucraina, ad esempio, ha gonfiato i prezzi dell’energia e dei combustibili.

Per il principio del battito delle ali della farfalla aumenta persino il prezzo del pane.

I cambiamenti climatici, non dimostrabili esclusivamente con l’antropocene, accelerano il green deal  con il carosello di Trump che rinnegava quello che Obama aveva fatto fino a sei mesi prima.

Tutto è connesso e “noi sappiamo che nessuno prende il potere con l’intenzione di rinunciarci” (George Orwell in 1984).