La tragica storia del popolo ebraico ha creato l’attuale tragedia del popolo palestinese. Il dominio di Israele sui palestinesi non ha giustificazione.
Edgar Morin è uno dei pensatori più vivaci nell’interpretazione della complessità della nostra epoca.
Fa un distinguo tra cultura e civiltà considerando la prima come l’insieme dei valori portanti e la seconda come suo processo di trasmissione attraverso tecnica, scienza e saperi.
Figlio di ebrei sefarditi originari di Livorno, trapiantato in Francia durante il nazismo, marxista anti-stalinista, cineasta, è oggi studiato in tutte le Facoltà di filosofia.
Sta scrivendo in questi giorni degli editoriali sul “7/10 israeliano” dove, pur condannando le barbarie di Hamas, offre delle analisi obiettive proprio perché ebreo.
Da buon filosofo parte dalla contestualizzazione degli attacchi di Hamas iscrivendoli prima di tutto nella lunga storia del popolo israeliano.
Secoli di anti-ebraismo cristiano, più tardi di antisemitismo razzista, e tre anni di sterminio nazista hanno alimentato il mito sionista del ritorno alla patria originale, nonostante il fatto che la terra di Canaan sia stata popolata per secoli da arabi che sono diventati musulmani o cristiani e che la Palestina non sia mai stata una terra senza popolo che aspettava il suo popolo senza terra.
La conseguenza della Shoah, parola che significa catastrofe, è stata la Nakba, una parola palestinese con lo stesso significato, che è stata effettivamente la catastrofe della Palestina araba.
Per occupare quel territorio, infatti, gli ebrei dovettero espellere gli arabi e rintanarli nei campi del Libano, Giordania e Cisgiordania.
C’è stato un momento speciale in cui Arafat e Rabin si sono stretti la mano e sono stati firmati gli accordi di Oslo, che prevedevano l’esistenza di due stati.
Ma l’assassinio di Rabin per mano di un ebreo fanatico e la scomparsa della sinistra israeliana portarono all’egemonia di una coalizione nazionalista-religiosa che intendeva annettersi tutta la Cisgiordania e che continua il suo corso.
In queste condizioni, è difficile vedere la possibilità di uno stato palestinese che includa 800.000 coloni israeliani che gli sono radicalmente ostili, ed è difficile vedere Israele che ritira i suoi insediamenti.
Il quadro è cupo; la violenza tende ad intensificarsi da entrambe le parti, con attacchi indiscriminati e una repressione di massa altrettanto indiscriminata.
Le verità unilaterali si impongono, nascondendo le verità opposte. Gli odi e le paure traboccano la mente.
Non è impossibile, ma improbabile, che l’azione congiunta delle Nazioni Unite e degli Stati occidentali e arabi raggiunga qualche risultato decisivo.
Non è impossibile che il conflitto si espanda, inglobando e infiammando una nazione dopo l’altra.
La nostra missione – conclude Morin – non è solo quella di respingere l’odio, ma anche di fare tutto ciò che è in nostro potere per creare la base di una comprensione reciproca, non solo tra Israele e Palestina, ma tra gli europei sostenitori dell’uno e dell’altro popolo, senza relegare all’oblio una giusta causa.
Complimenti per aver citato un famoso filosofo contemporaneo. La sua origine ebrea lo rende più credibile nell’articolo sviluppato.
Alfonso, sono fiero di esserti amico. Morin è uno dei filosofi preferiti di mia moglie. Continua pure questa nobile missione di missionario della penna o della tastiera, sull’esempio di S. Massimiliano Maria Kolbe!