“La #LibertàdiStampa è un indice importante dello stato di salute di un Paese. 

Infatti le dittature si affrettano a restringerla o sopprimerla. 

Abbiamo bisogno di giornalisti liberi, che ci aiutino a non dimenticare tante situazioni di sofferenza. #WPFD2023″. 

Lo ha affermato Papa Francesco in un tweet, in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa al suo 30° anniversario.

Celebrare nel modo migliore questa giornata significa, per gli operatori dell’informazione, seguire i principi irrinunciabili dell’etica professionale.

La Giornata mondiale della libertà di stampa è stata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1993, dietro raccomandazione della Conferenza Generale dell’Unesco.

Il giorno fu scelto per ricordare il seminario dell’Unesco per promuovere l’indipendenza e il pluralismo della stampa africana (Promoting an Independent and Pluralistic African Press) tenutosi dal 29 aprile al 3 maggio del 1991 a Windhoek (Namibia). Questo incontro portò alla redazione della Dichiarazione di Windhoek.

Il documento è un’affermazione dei principi in difesa della libertà di stampa, del pluralismo e dell’indipendenza dei media come elementi fondamentali per la difesa della democrazia e il rispetto dei diritti umani.

La Dichiarazione fa un richiamo esplicito all’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo il quale stabilisce che “Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione, tale diritto include la libertà di opinione senza interferenze e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza frontiere”.

La Giornata mondiale della libertà di stampa rappresenta l’occasione per promuovere iniziative finalizzate a difendere la libertà della stampa, ma è anche l’occasione per valutare la situazione della libertà di stampa nel mondo, oltre a essere una giornata commemorativa, per ricordare i giornalisti che hanno perso la vita nell’esercizio della professione.

“Il giornalismo non è un crimine: è essenziale per una società libera”. Lo ha scritto Joe Biden in una nota. “Nessun giornalista, americano o no, dovrebbe rischiare la propria vita per la ricerca della verita’”, ha sottolineato il presidente americano ricordando il reporter del Wall Street Journal arrestato in Russia Evan Gershkovich e Austin Tice, rapito in Siria undici anni fa. 

Sono sempre di più i giornalisti che lottano quotidianamente per difendere il diritto all’informazione e ripugnano qualsiasi tipo di compromesso o limitazione alla loro libertà di raccontare i fatti del mondo. In particolare, i giornalisti impegnati sui fronti di guerra o nelle inchieste sulla criminalità organizzata, sono sempre più uno dei principali bersagli di estremisti, terroristi, mafiosi, ma soprattutto le vittime sacrificabili in caso di conflitto.

L’Europa continua a essere la zona più favorevole per la libertà di stampa, nonostante le situazioni problematiche in alcuni paesi. A seguire le Americhe, anche se non si possono non sottolineare le difficoltà registrate dai media in paesi come Usa e Brasile. In Africa sono aumentate le ingerenze, tra attacchi online e detenzioni prolungate. L’area Asiatica e Pacifica ha registrato un aumento delle violazioni alla libertà di stampa.

L’Italia recupera 17 posizioni nella classifica mondiale annuale della libertà di stampa pubblicata da Reporter sans frontieres (Rsf) e si attesta al 41/o posto, sorpassando gli Stati Uniti che, avendo perso tre posizioni, diventano 45/i. 

Nel report dell’Ong francese vengono evidenziati i soliti problemi per la libertà di stampa nel nostro Paese, che continua a essere minacciata dalla criminalità organizzata, specialmente nel sud del Paese, e da gruppi estremisti violenti. Questi fattori sono peggiorati durante la pandemia.

Secondo Ossigeno per l’informazione, osservatorio della Stampa italiana che ha realizzato un dossier nel 2014 per la Commissione parlamentare antimafia, sarebbero 28 i giornalisti italiani uccisi dal secondo dopoguerra ad oggi, mentre almeno 15 giornalisti vivono attualmente sotto scorta e altri 2.800 hanno ricevuto minacce di morte. Di questi, 11 giornalisti sono morti per mano di mafia e camorra o per azioni terroristiche.

Gli altri giornalisti sono invece rimasti uccisi mentre si trovavano in missione all’estero, come Ilaria Alpi giornalista del Tg3 morta in Somalia nel 1994, tre giornalisti della Rai di Trieste uccisi in Bosnia Erzegovina nel 1994, la siciliana Maria Grazia Cutuli del CdS uccisa con altri tre colleghi in Afghanistan nel 2001, Antonio Megalizzi giornalista radiofonico morto nell’attentato di Strasburgo nel 2018 e ancora altri 11 reporter. 

Tutti hanno sacrificato la loro vita per il diritto all’informazione. 

Ai giornalisti italiani ovviamente si affiancano quelli di tutto il mondo.
Vogliamo ricordare in modo particolare Arman Soldin, ucciso il 9 maggio 2023 mentre si trovava sul fronte nell’est Ucraina per raccontare l’orrore del conflitto.
Aveva 32 anni e lavorava per l’agenzia France Presse. A lui dedichiamo la foto del post.
È l’undicesimo giornalista morto per coprire il conflitto Russo-Ucraino.

Celebrare nel modo migliore questa giornata, per tutte le testate giornalistiche e tutti gli operatori dell’informazione, significa portare avanti il proprio lavoro seguendo principi irrinunciabili dettati dai valori e dall’etica professionale: la libertà dei giornalisti di informare, la libertà di svolgere la propria professione senza il peso delle minacce o della precarietà, la libertà dei cittadini di essere informati, la libertà di mettere la propria professionalità al servizio esclusivo della sana informazione, della verità e della comunità.

“Va tutto bene”. È il titolo di un articolo di giornale nel quale viene ripetuta ossessivamente questa frase, con al centro l’immagine di una mano che fa il segno della vittoria. 

Questa l’iniziativa dell’Unesco, lanciata in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa, che compare nelle pagine dei quotidiani di tutto il mondo, compresi alcuni italiani. 

“Se nelle notizie va tutto bene, c’è un problema con il giornalismo – si legge in fondo alla pagina -. Senza libertà di espressione non possiamo difendere i diritti umani”.