“Una volta Dio ha detto: ‘Non uccidere’. Nessun uomo, nessuna associazione umana, nessuna mafia può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio… nel nome di Cristo crocifisso e risorto… mi rivolgo ai responsabili: convertitevi! Un giorno arriverà il giudizio di Dio”.

Sono passati trent’anni da quando Giovanni Paolo II rivolse quest’anatema agli uomini di Cosa Nostra, dalla Valle dei Templi in Agrigento.

In quegli anni la mafia siciliana aveva assunto una postura violenta e sanguinaria che culminò con gli “attentatuni”, espressione dialettale del sanguinario boss Totò Rina, ai giudici Falcone e Borsellino.

Le parole durissime e chiare di S. Giovanni Paolo II il 9 maggio 1993, sono poi state riprese da Benedetto XVI e da papa Francesco quasi come se fossero magistero.

Il 3 ottobre 2010, infatti, a piazza Politeama in Palermo Papa Ratzinger disse ai giovani siciliani: “Non abbiate paura di contrastare il male! Insieme, sarete come una foresta che cresce, forse silenziosa, ma capace di dare frutto, di portare vita e di rinnovare in modo profondo la vostra terra! Non cedete alle suggestioni della mafia, che è una strada di morte, incompatibile con il Vangelo”.

Qualche anno prima, a Napoli nel 2007, sempre Benedetto XVI disse: ”Non si tratta solo del deprecabile numero di delitti della camorra ma anche del fatto che la violenza tende purtroppo a farsi mentalità diffusa, insinuandosi nelle pieghe del vivere sociale, nei quartieri storici del centro e delle periferie nuove e anonime, con il rischio di attrarre specialmente la gioventù”.

Papa Francesco ha rincarato la dose sia a Cosenza che a Palermo.

Nella Piana di Sibari disse rivolgendosi alle ‘ndrine: “Non sono in comunione con Dio”.

Il 15 settembre 2015 arrivò la scomunica in occasione del suo viaggio a Palermo e la visita alla tomba di Padre Pino Puglisi ucciso da Cosa Nostra: “Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore. 

Oggi abbiamo bisogno di uomini e di donne di amore, non di uomini e donne di onore; di servizio, non di sopraffazione. Cambiate fratelli e sorelle, smettete di pensare a voi stessi e ai vostri soldi. Se non fate questo, la vostra vita andrà persa e sarà la peggiore delle sconfitte”.

Se un tempo veniva attribuito ad alcuni uomini di Chiesa una collusione con gli ambienti mafiosi, appare sempre più chiaro l’impegno recente della Chiesa di affrancarsi dal potere delle mafie e contribuire al contrasto del fenomeno criminale attraverso un’azione sociale e culturale.

Oltre ai pronunciamenti degli ultimi pontefici, la Pontificia Academia Mariana Internationalis e la cattedra “Beato Giovanni Duns Scoto” della Pontificia Università Antonianum di Roma hanno istituito da meno di un lustro il Dipartimento di analisi, studi e monitoraggio sui fenomeni criminali e mafiosi.

Sul loro sito è possibile consultare il primo blocco di ventitré volumi del Compendio di studi e monitoraggio dei fenomeni criminali e mafiosi (“Liberare Maria dalle mafie”).

La fruizione è libera ed aperta a tutti, singoli, comunità, istituzioni accademiche, civili, militari ed ecclesiastiche, così come libera è la possibilità di scaricare gratuitamente i singoli volumi sui propri dispositivi di lettura. 

È possibile altresì consultare la mostra sulla “Storia delle mafie” pubblicata in versione digitale.

Questo perché occorre liberare Maria dal suo essere “ostaggio delle mafie”

Maria è da decenni ostaggio delle mafie e della criminalità organizzata che sistematicamente ne ribaltano e strumentalizzano la figura, utilizzata per propagandare una cultura di morte, di sopraffazione e di schiavitù dei più deboli. 

La Madre di Dio viene chiamata in causa durante i riti di affiliazione alle cosche o invocata nei giuramenti per la commissione di terribili fatti criminosi, come gli omicidi o le stragi. 

Le processioni delle feste patronali vengono strumentalizzate dai clan per accreditarsi come patrocinatori e beneficiare dell’inchino dei portatori davanti alle loro case.

Fabio Iadeluca, sociologo, criminologo, dichiara: “La finta religiosità dei boss serve per soggiogare la gente”.

Urge contrastare questa pericolosa deriva e restituire alla Madonna una figura di verità, fatta di amore, di carità e di solidarietà, caratteristiche opposte a quelle delle mafie.