La Chiesa celebra la II Domenica di Pasqua la festa delle Divina Misericordia. Esiste una continuità nel Magistero degli ultimi pontefici che in più occasioni, tra documenti, discorsi ed iniziative liturgiche hanno approfondito ed esaltato una delle più belle qualità dell’amore di Dio.

“Canterò in eterno la misericordia del Signore!” (Sal. 89) citava Giovanni XXIII, “il Papa buono” riferendosi a una delle qualità più belle di Dio. 

Tutti i documenti del Vaticano II,  evento voluto e inaugurato dal pontefice bergamasco, non vollero rinunciare né cambiare la dottrina della Chiesa, ma nel progresso della Tradizione riconobbero il nesso tra misericordia e verità.

Più tardi Giovanni Paolo II sviluppò e approfondì quanto Giovanni XXIII aveva avviato.

Cresciuto a pochi km da Auschwitz il giovane Karol Wojtyla conobbe gli orrori della guerra e dei regimi totalitari. Il suo lungo pontificato fu segnato dall’attentato del 13 maggio 1981 e dalla sofferenza dell’infermità fisica.

Canonizzò nel 2000 suor Faustina Kowalska († 1938), una figura fino ad allora da noi poco conosciuta. Nei suoi appunti questa suora semplice si era spinta oltre i canoni della teologia accademica sulla metafisica delle proprietà di Dio. Santa Faustina aveva indicato – coerentemente al senso delle Scritture – nella misericordia di Dio la più grande e somma delle proprietà divine e l’aveva esaltata come la perfezione divina pura e semplice in sintonia con la grande tradizione mistica femminile di Santa Caterina da Siena e Santa Teresa di Lisieux.

Giovanni Paolo II nel suo libro autobiografico di Memoria e identità scrisse che “il limite imposto al male è in definitiva la Divina Misericordia”. Morì, non a caso, il 2 Aprile 2005, Festa della Divina Misericordia.
Non dobbiamo perciò stupirci se Benedetto XVI è andato avanti, già nella sua prima enciclica Deus caritas est(2006) sulla linea del suo predecessore e l’ha teologicamente approfondita. 

Nella sua enciclica sociale Caritas in veritate (2009) egli ha concretizzato questo tema in ordine alle nuove sfide. Diversamente dalle precedenti encicliche sociali egli non si è più occupato della giustizia, ma dell’amore come principio fondamentale della dottrina sociale cristiana. In tal modo ha dato una nuova impostazione alla dottrina sociale della Chiesa e ha posto nuovi accenti che riprendono ancora una volta l’istanza della misericordia in un contesto più grande.

Il successore Papa Francesco riportava già nel suo motto episcopale un chiaro riferimento alla misericordia come presupposto del Divin Maestro alla chiamata degli apostoli: Miserando atque eligendo.

Il filo d’oro che tesse la trama dell’attuale pontificato è proprio la Misericordia di Dio che ha trovato una delle massime esplicitazioni formali nell’anno giubilare inaugurato nel 2015.

Sin dall’antichità la teologia cristiana ha riflettuto sul rapporto tra la “giustizia” e la “misericordia” di Dio. Alcuni autori hanno cercato di mostrare come questi due attributi divini siano in accordo; altri hanno finito per privilegiare il primo aspetto, vedendo in Dio soprattutto un giudice inflessibile delle condotte umane.

Nel secolo scorso, alcuni grandi tentativi di “stabilire la giustizia” tra i popoli e le classi sociali sono sfociati in orrori su vasta scala.

Se la giustizia diventa un principio ideologico, che si vuole affermare a qualsiasi prezzo, allora davvero vale il detto latino summum ius, summa iniuria (“Il massimo del diritto, il massimo dell’ingiustizia”).

Gesù, nella parabola del Buon Samaritano, ci propone una diversa visione dei rapporti con il nostro prossimo. Quando gli viene domandato, appunto, “Chi è il mio prossimo?”, Gesù, tramite questa parabola, risponde: “Colui che tu incontri e che ha bisogno del tuo aiuto, è l’espressione della volontà di Dio per te”. La misericordia apre i nostri occhi alle situazioni concrete, ai bisogni effettivi degli altri e ci spinge a portare aiuto anche oltre la misura della semplice giustizia, proprio come ha fatto il Buon Samaritano.

L’idea di Papa Francesco per cui la Chiesa debba essere come “un ospedale da campo dopo una battaglia”, in cui vengono curati i feriti, si accorda con questo stato di cose.

C’è speranza. Papa Francesco dice spesso che il nostro è “un Dio delle sorprese”.

San Paolo dice: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto” (1 Cor 13, 12).

Ognuno di noi in questo splendido passo biblico vi trova un motivo per poter dire a sé stesso: “Dio mi conosce, mi ha scelto e mi ama da tutta l’eternità; non esisto per caso, per un capriccio del destino: Dio mi conosce, mi vede e mi ascolta, mi accompagna…”

Chi ha fede sa che la vita non va verso il nulla, non è destinata a estinguersi come la fiamma di una candela; alla fine, qualsiasi enigma o domanda irrisolta avrà una risposta, quando vedremo Dio “faccia a faccia”. 

Adesso viviamo nel tempo dell’attesa, ma poi vi sarà una Pasqua senza fine.