Il Giappone conosce un forte invecchiamento della popolazione. Deve riorganizzare la sanità e il lavoro. Gli over 60 sono obbligati ad essere più produttivi per mantenere i costi sociali. I nipponici investono anche nell’innovazione per sopperire al calo della forza lavoro. Senza un ricambio generazionale appare difficile la sostenibilità dell’assetto economico-sociale attuale a lungo termine.

Benché ci separino circa diecimila km dal Giappone, la realtà demografica del paese del Sol Levante è molto speculare in Europa al caso Italia.

Il Giappone dotato di un welfare e di un’assistenza sanitaria paragonabile all’Italia, ha fortemente innalzato la speranza media di vita innalzando la longevità della popolazione. 

Il rapido invecchiamento della sua popolazione, tuttavia, accanto alla denatalità e a una bassa immigrazione, sta creando corto circuiti socio-economici.

Presto, più di 100.000 giapponesi avranno più di 100 anni.

È sempre più frequente vedere “figli” di 80 anni che si prendono cura dei genitori ultracentenari.

La nazione deve ottenere più produttività da lavoratori tra i 60 e i 75 anni.

Secondo le stime del governo, il cittadino medio avrà bisogno di 20 milioni di yen (143.000 dollari) di risparmi per finanziarsi almeno i 30 anni di vita che trascorrerà da pensionato.

I pianificatori politici giapponesi sono giustamente concentrati sull’innovazione, specie nell’assistenza sanitaria.

Il Giappone è al primo posto al mondo per aspettativa di vita sana.

Si arriva a 74,1 anni senza malattia o disabilità, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. 

Gli Stati Uniti, a 66,1 anni, sono 35 posti più bassi, ma gli americani più anziani sono più produttivi.

L’attuale “decennio d’oro della salute”, per i giapponesi da 65 a 75 anni, è un risultato straordinario, ma si eroderà rapidamente senza un’assistenza sanitaria innovativa per sostenerlo. 

Ogni anno di malattia e disabilità evitato equivale a una maggiore competitività per il Giappone e ulteriori risparmi per i suoi anziani.

Le rigidità sistemiche, tuttavia, inibiscono la capacità di fornire cure minimamente invasive, riducono le degenze ospedaliere e promuovono la produttività. 

In parte a causa dell’età, i pazienti giapponesi spesso rimangono in ospedale per lunghi periodi, in genere tre volte più a lungo che negli Stati Uniti e in Europa.

Il Giappone spende troppo poco per l’innovazione sanitaria, su tutta la linea. 

Mancano anche sufficienti medici, infermieri, specialisti, personale di supporto e infrastrutture mediche avanzate e innovative.

 Uno studio pubblicato ad aprile dall’Association of Japan Medical Colleges ha rilevato che il 30% dei medici degli ospedali universitari intervistati è a rischio di morte per aver lavorato troppe ore, noto in giapponese come karoshi.

La spesa sanitaria totale del Giappone ha raggiunto il 10,74% del prodotto interno lordo nel 2019, ovvero 4.360 dollari pro capite. Non è abbastanza.

 Entro il 2025, il Giappone affronterà una carenza di 320.000 personale di assistenza infermieristica ed entro il 2040, un deficit di circa 1 milione di operatori sanitari e assistenziali.

Secondo i dati del governo, il 15% dei giapponesi di età pari o superiore a 65 anni ha la demenza. 

Se la metà di questi cittadini ha bisogno di cure a lungo termine, il Giappone avrà meno di un decimo della capacità necessaria.

Gli ospedali e le cliniche diventeranno avamposti di inclusione contro la solitudine e l’isolamento. 

Molti pazienti hanno ciò che equivale a posti a sedere riservati in un pub. I

n una battuta spesso raccontata, un paziente anziano si rivolge a un altro in una sala d’attesa dell’ospedale e chiede: “Dov’è Tanaka-san?” 

La risposta: “Oggi non si sente bene, quindi è rimasto a casa“.

Il Giappone ha bisogno di un nuovo accordo nell’assistenza sanitaria. 

Non è troppo tardi per maggiori investimenti in ospedali, medici e infermieri, compresa una migliore retribuzione, e in infrastrutture digitali di livello mondiale per sostenere la fornitura di terapie, dispositivi e servizi innovativi. 

Il Giappone può sicuramente provare un cambiamento di mentalità, ma la creazione di posti di lavoro dipende dal consumo e quindi dalla demografia.

Il Paese invecchia, la sanità aumenta i suoi costi, i contributi alle pensioni da parte degli attivi diminuisce.

L’innovazione che riduce le risorse umane con la robotica hi-tech sarà la soluzione?

È una riposta che interessa in primis all’Italia delle poche nascite, dei tanti anziani e della maldistribuzione e gestione dell’impiego.