Il “ritorno del sacro” è un fenomeno studiato e consolidato in ambito sociologico. L’idolatria dell’idea che si serve della religione per esercitare un potere a livello macroscopico, spiega tanti dei drammi della nostra umanità.

“Allahu Akbar” – Dio è grande – è stato il grido di Mohamed Mogouchkov, un immigrato ceceno in Francia, mentre pugnalava a morte un insegnante in una scuola di Arras.

Sono le stesse parole usate tre anni fa da Samuel Paty, mentre decapitava un altro insegnante a Éragny-sur-Oise, nei pressi di Parigi.

“Allahu Akbar” gridavano i miliziani dell’ISIS mentre decapitavano, violentavano e uccidevano le vittime, spesso filmando le loro atrocità in modo che potessero mostrare a un mondo inorridito la loro opera.

Questa è la storia del fanatismo religioso che, nel corso dei secoli, non è stato di certo solo di matrice islamica.

Nell’Europa del XVII secolo i cristiani cattolici, protestanti e anglicani si ammazzavano e torturavano fra loro dicendo: “Oh, questo è per la più grande gloria di Dio!”

Quando i terroristi di al-Qaeda hanno schiantato gli aerei dirottati al World Trade Center, i sociologi accademici negavano che quegli uomini fossero motivati dalla religione. 

Teorizzavano che questi terroristi fossero alienati, poco istruiti, reattivi contro l’Occidente. 

Quando si è scoperto che i dirottatori avevano lauree, vizi come i rampolli delle società occidentali, di cui avevano fino a quel momento beneficato, sono state trovate nuove motivazioni surrogate. 

Qualsiasi scusa andava bene pur di evitare la verità, quella filmata dagli attentatori  kamikaze che esplicitamente dichiaravano di voler uccidere “a gloria di Allah”.

Oggi i terroristi di Hamas sono capaci di atrocità non perché sono nichilisti. È perché si dichiarano credenti.

Perché hanno inflitto un danno così gratuito?

 Nel suo romanzo Il cimitero di Praga, Umberto Eco lo ha detto con precisione: “Le persone non sono mai così completamente ed entusiasticamente malvagie come quando agiscono per convinzione religiosa”.

I fondamentalisti mancano di una saggia e prudente qualità umana: il dubbio. 

Credono di avere la verità assoluta, la parola certificata di Dio, quindi non sono semplicemente giustificati a massacrare gli infedeli; fallirebbero nel loro dovere se non lo facessero. 

Se Hamas avesse la possibilità di uccidere più ebrei, tutti ebrei, lo farebbe. 

Hamas, tuttavia, non è il popolo palestinese.

La risposta israeliana su Gaza, invece,  ucciderà molte più persone innocenti, in particolare bambini. In effetti, molti sono già morti in questa guerra spietata.

Tra fondamentalismi e fondamentalisti religiosi, proprio il governo di Netanayhu si è servito per fini elettorali anche degli ebrei ultraortodossi e dei coloni che vessano da anni i Palestinesi nelle loro terre con una polizia complice che spara impunemente nella testa dei bambini e nel petto dei papà che protestano.

Gli apologeti affermano che questa è colpa di Israele: che i palestinesi sono spinti nelle mani di Hamas dalle azioni dello stato ebraico, proprio come gli apologeti dell’ISIS hanno detto che le sue atrocità sono state incitate dal “Grande Satana” d’America. 

Alcuni liberali complottisti, appena vedono un male nel mondo se la prendono con la civiltà occidentale o indicano in una cospirazione ebraica la causa principale.

Una prospettiva diversa emerge guardando Hamas. 

Piuttosto che concentrarsi sulla crescita, sull’amministrazione razionale e sui bisogni della sua gente, la sua priorità è l’indottrinamento religioso.

 Un recente rapporto (tra i tanti) ha scoperto che le scuole in tutta la Cisgiordania e nella Striscia di Gaza “aizzano regolarmente all’omicidio degli ebrei e creano materiali didattici che glorificano il terrorismo, incoraggiano il martirio e incitano all’antisemitismo”. 

In questo modo un culto religioso sostiene quella che viene eufemisticamente definita “legittimità popolare”.

Ed è per questo che molte “soluzioni” a questo problema sono confuse. 

Nella causa palestinese, i perbenisti pensano che si possano fare progressi con la diplomazia o la riconfigurazione dei confini. 

Finché il virus del fondamentalismo non è contenuto, fino a quando i suoi meccanismi di trasmissione non vengono recisi, questo è inutile. 

Chi ha detto che il conflitto in Medio Oriente era stato contenuto, non aveva visto cosa stava succedendo in Iran, Yemen, Libano…

Non aveva notato il malcelato indottrinamento nelle madrasse coraniche palestinesi.

È nell’interesse degli israeliani evitare di allargare il conflitto e quindi entrare nella trappola impostata dall’Iran. 

Dopo l’uccisione di 70 persone, compresi bambini, di un convoglio in fuga a Sud, sarà difficile il contenimento della recrudescenza.

Salman Rushdie, autore di “Versetti satanici” e per questo vittima di una fatwa, scrisse poco dopo i fatti dell’11 settembre 2001: “Il fondamentalista crede che non crediamo in nulla. Nella sua visione del mondo, ha le sue certezze assolute, mentre noi indulgiamo nei nostri dubbi. Per dimostrargli che si sbaglia, dobbiamo prima sapere che ha torto”. 

Il fondamentalismo parte dalla sacralizzazione dell’idea che, sostituendosi alla divinità, diventa sacra ed inviolabile.

Il feticcio dell’idea è oggi presente anche nel cattolicesimo e si alimenta grazie all’indole complottista, presente a diversi livelli in ogni essere pensante.

La comunicazione “fai da te” dell’era internet contribuisce notevolmente a veicolare messaggi di odio, ghettizzazione e messianismo terrestre anche da parte di sedicenti cattolici.

Essi si credono addirittura “più cattolici del Papa”.

Giudizi di eresia e accuse di apostasia non risparmiano oggi nemmeno Papa Francesco.

Non si tratta dei musulmani, dei buddisti o degli animisti e tampoco dei luterani od anglicani.

È un dejà vu tutto “cattolico” che risale ai tempi del Concilio, con i suoi profeti di sventura e con i chierici e prelati dalla “puzza sotto il naso”.

L’idolatria dell’ideologia apologeta è quanto di più estraneo oggi ci possa essere al Vangelo di Gesù Cristo, al Corano di Maometto o alla Torah di Jahvé.

Vale la pena riflettere su questo, mentre dall’altra sponda del Mediterraneo si consuma una terribile tragedia “in nomine Domini”.