Tensioni normative, ambiguità storiche e sfide per un’etica della dignità
Analizzare criticamente la tensione tra la proclamazione dell’universalità dei diritti umani e la loro effettiva attuazione nel contesto storico contemporaneo, alla luce di ambiguità normative, squilibri geopolitici e derive etnocentriche. A partire da una riflessione sul divario tra il dettato della Dichiarazione Universale del 1948 e le disuguaglianze sistemiche che segnano il mondo globale – secondo l’interpretazione offerta da Fratelli Tutti – si evidenzia l’urgenza di superare un approccio puramente nominalistico ai diritti umani. L’universalismo giuridico, per risultare credibile e operante, deve radicarsi in una verità antropologica condivisa, che riconosca la dignità come fondamento pre-positivo e relazionale di ogni ordinamento. In tale prospettiva, si propone un “universalismo critico e dialogico”, capace di valorizzare il pluralismo culturale senza abdicare a princìpi comuni, e si richiama il ruolo interpretativo della giurisprudenza europea nell’articolare una cittadinanza giuridica transnazionale. Infine, si auspica il passaggio da un’etica dell’indignazione a un’etica della responsabilità, attraverso la costruzione di una diplomazia della dignità orientata alla giustizia globale, all’ecologia integrale e alla protezione dei più vulnerabili, nella prospettiva di un nuovo umanesimo relazionale e inclusivo.
L’universalità dei diritti umani, proclamata con solennità nel 1948 dalla Dichiarazione Universale dell’ONU, ha rappresentato un punto di svolta epocale nella genealogia moderna della normatività etico-giuridica. Essa ha inteso affermare, sulla scorta delle più alte acquisizioni del pensiero filosofico occidentale, un fondamento comune e inalienabile della dignità umana, riconoscendo in ogni individuo – a prescindere da confini, appartenenze culturali o condizioni sociali – un soggetto titolare di diritti inviolabili. Tuttavia, come sottolinea in maniera incisiva il magistero di Papa Francesco nei numeri 22-24 dell’enciclica Fratelli Tutti, il solco tra tale orizzonte dichiarativo e la realtà effettiva si è andato ampliando a dismisura, sino a generare una vera e propria crisi di credibilità dell’universalismo stesso. Le asimmetrie planetarie, l’incremento delle diseguaglianze, la persistente marginalizzazione di interi popoli e l’indifferenza verso milioni di vite umane negano, nei fatti, quella medesima universalità che si pretende di affermare nei principi. In altri termini, i diritti umani non sono oggi realmente eguali per tutti: essi risultano distribuiti secondo logiche di potere, di mercato, di esclusione sistemica, che li svuotano della loro pretesa di incondizionatezza. Le donne, i migranti, le vittime della tratta, le popolazioni impoverite del Sud globale, i bambini non nati, le minoranze perseguitate: tutti questi volti della vulnerabilità denunciano l’ipocrisia di un ordine giuridico internazionale che, pur appellandosi alla dignità, si mostra incapace di salvaguardarla nella concretezza storica. La dichiarazione dell’eguaglianza, per non rimanere enunciato retorico, esige un fondamento sostanziale che non sia riducibile né a una convenzione formale né a un consenso geopoliticamente egemone, ma che attinga a una verità antropologica condivisa e intrinsecamente relazionale.
II. Oltre il nominalismo dei diritti: l’esigenza di un universalismo critico e dialogico
Come ha lucidamente evidenziato Francesco Viola nel suo saggio sulla “controversa universalità” dei diritti umani, il discorso giusfilosofico contemporaneo è ancora attraversato da ambiguità irrisolte, che affondano le loro radici in una tensione mai del tutto risolta tra universalismo e particolarismo. L’universalismo normativo non deve essere confuso con l’assolutismo morale, né con l’imposizione unilaterale di paradigmi etico-giuridici costruiti sulla base della sola esperienza occidentale. L’universalità, se intesa in modo autentico, non implica l’uniformità né il colonialismo culturale, bensì l’identificazione di princìpi fondamentali – come la dignità della persona e il valore della vita – che, pur declinandosi storicamente in molteplici modalità, esprimono una medesima esigenza originaria di giustizia. Da ciò deriva l’importanza di un “universalismo critico”, fondato sul dialogo interculturale, sull’ascolto delle diversità, sulla capacità di reinterpretare i diritti in modo situato e relazionale. In questa prospettiva, la dignità umana – come valore assiologicamente prioritario – si presenta come l’elemento generatore e unificante dell’intera architettura dei diritti fondamentali, i quali non sono già dati, ma continuamente da risignificare e positivamente tradurre nei differenti contesti. La positività giuridica, per essere legittima, deve essere radicata in una normatività etica pre-positiva, che precede e fonda l’atto di riconoscimento istituzionale. Come ha mostrato l’evoluzione giurisprudenziale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – secondo l’analisi di Elisabetta Bergamini – la Dichiarazione del 1948, pur non avendo valore vincolante, ha progressivamente assunto il ruolo di fonte interpretativa di princìpi generali del diritto, contribuendo a rafforzare, anche nei contesti regionali, l’idea di una cittadinanza umana universale. Tuttavia, tale progresso giuridico resta parziale e instabile, se non accompagnato da una responsabilità culturale e politica condivisa, che riconosca nell’altro non solo un “portatore di diritti”, ma un volto da custodire, un bene relazionale da rispettare e promuovere.
III. Dall’etica dell’indignazione all’azione globale: una diplomazia della dignità
Alla luce di queste considerazioni, diventa evidente che l’universalità dei diritti umani, per non ridursi a vuota ideologia, deve diventare progetto etico-politico concreto, incarnato in istituzioni, pratiche e linguaggi capaci di promuovere realmente la dignità delle persone. Il diritto, in tale prospettiva, non può essere mera tecnica normativa, né dispositivo funzionale all’equilibrio dei poteri, ma deve farsi autentico strumento di giustizia e di trasformazione solidale. Come ricorda Papa Francesco nella Laudato Si’, la questione della dignità umana è inseparabile da quella ecologica e sociale: la crisi della cultura dei diritti è connessa alla crisi della casa comune, alla dissoluzione dei legami, alla cultura dello scarto che permea le logiche economiche dominanti. Occorre, allora, un nuovo paradigma: un’ecologia integrale che sappia tenere insieme rispetto per l’ambiente, giustizia sociale e tutela dei più deboli. La tratta degli esseri umani, lo sfruttamento sessuale e lavorativo, il commercio di organi, la discriminazione strutturale delle donne, la criminalizzazione della povertà, la marginalizzazione dei migranti, rappresentano ferite aperte all’universalità proclamata e tradita. Contro tali aberrazioni è necessaria una diplomazia della dignità, fondata su un’alleanza globale per la vita e per i diritti, in cui le istituzioni nazionali e internazionali si assumano la responsabilità di promuovere meccanismi di vigilanza, sanzione, prevenzione e formazione. Si tratta, in ultima analisi, di recuperare una visione umanistica radicale, capace di affermare che l’essere umano non può mai essere ridotto a mezzo, a merce, a scarto, ma è sempre fine in sé stesso, portatore di una dignità che precede ogni legge, ogni confine, ogni interesse. Solo un tale rinnovato ethos globale potrà restituire senso e legittimità alla grammatica dei diritti, aprendo la via a un autentico “noi” universale, in cui nessuno sia escluso, e in cui la dignità, da principio astratto, divenga realtà vissuta e condivisa.