Il caso di Diane Montagna sulla Messa tridentina e la questione delle Ordinazioni per i viri probati
Due dossier, due “maggioranze silenziose”, due accuse di complotto: mentre alcuni tradizionalisti denunciano l’origine viziata di Traditionis Custodes e i sostenitori dei preti sposati riaprono il caso Amazzonia, riemerge la tentazione di piegare la Chiesa a logiche di lobby, numeri e rivendicazioni identitarie. Ma la storia, come quella dei Francescani dell’Immacolata, insegna che quando il rito — o la riforma — si fa ideologia, non costruisce comunione, ma prepara fratture. E il Papa, ieri come oggi, è chiamato non a soddisfare fazioni, ma a custodire l’unità nella verità.
Nel cuore dell’estate romana, mentre Papa Leone XIV celebra la Messa per la cura del creato e richiama la Chiesa all’armonia tra fede e mondo, due antiche istanze tornano a bussare alle porte del Vaticano. Con voce diversa, ma tono analogo, i fautori della Messa tridentina e i sostenitori dei viri probati denunciano una presunta manipolazione dei processi ecclesiali, evocando dossier riservati, sondaggi pre-sinodali e, inevitabilmente, un’ombra di “complotto” ai vertici.
Da una parte, Diane Montagna — già traduttrice in inglese per l’Osservatore Romano — rende pubblico un presunto rapporto segreto della Congregazione per la Dottrina della Fede che, nel 2020, avrebbe mostrato una larga approvazione episcopale per il rito tridentino, poi ignorata da Traditionis Custodes; dall’altra, l’associazione dei Sacerdoti Sposati afferma di aver scoperto che, prima del Sinodo per l’Amazzonia, la maggioranza dei vescovi era favorevole all’ordinazione degli uomini sposati. In entrambi i casi, si insinua che Papa Francesco abbia agito “contro” il sensus episcoporum. Ma è davvero così?
Montagna, dossier e curia: il gioco sottile delle “fonti”
Che Diane Montagna sia una brava giovane è indubbio. Che sia anche ben introdotta in ambienti curiali conservatori è cosa nota. Ma ciò che solleva interrogativi è la tempistica e il metodo.
Montagna, per anni collaboratrice dell’edizione inglese dell’Osservatore Romano, è una delle figure emergenti del tradizionalismo mediatico americano. Non si può pensare che la pubblicazione — proprio ora — di documenti riservati su Traditionis Custodes sia frutto del caso. A spingerla potrebbe essere stato il “suggerimento” di qualche monsignore insoddisfatto, magari in pensione o marginalizzato dalla riforma curiale, desideroso di riaprire una breccia.
Nel 2021, Traditionis Custodes fu un colpo netto, chiaro, e teologicamente fondato: il Papa — raccogliendo elementi di disunità e di uso ideologico del rito antico — stabilì che la forma ordinaria del rito romano restava quella del Messale del 1970. Non un’abolizione del rito antico, ma un suo corretto contenimento.
Montagna contesta il presupposto di quella decisione: secondo lei (e i suoi informatori), il Papa non avrebbe agito sulla base di dati reali, ma sulla percezione distorta di una minoranza ostile alla Summorum Pontificum. Ma ciò che manca in questa ricostruzione è il senso dell’intervento pontificio: Francesco non ha agito in base al numero di approvazioni, ma per custodire l’unità ecclesiale.
La tentazione populista in versione ecclesiale
Sorprende — o forse no — che proprio coloro che respingono la “democratizzazione” della Chiesa e la sinodalità come pericolosa deriva assemblearista, oggi si appellino ai sondaggi e alle “maggioranze” episcopali per contestare il Papa. È il paradosso di un certo mondo tradizionalista: inneggia al primato petrino finché non tocca i suoi interessi; poi brandisce numeri e documenti per mostrare che il Papa “ha sbagliato”.
Ma il Papa non governa con i sondaggi. E la Chiesa non decide per plebiscito. Il discernimento di Francesco, in entrambi i casi, è stato teologico e pastorale: non si trattava di negare i desideri dei vescovi, ma di custodire un bene superiore — l’unità della fede e della liturgia.
Il caso dei Francescani dell’Immacolata: un laboratorio in miniatura
Chi oggi presenta il Vetus Ordo come fonte di pace e vitalità ecclesiale dovrebbe ricordare il caso emblematico dei Frati Francescani dell’Immacolata.
Nel 2013, la Santa Sede intervenne con un commissariamento deciso nei confronti dei Francescani dell’Immacolata, a causa delle gravi tensioni interne e della gestione autoritaria da parte dell’iniziatore storico, p. Stefano Manelli, che aveva imposto il Vetus Ordo come forma esclusiva fin dalle case di formazione, trasformando un’opzione pastorale in un marchio ideologico. Il primo commissario, il cappuccino P. Fidenzio Volpi — allora segretario della CISM — fu duramente osteggiato. Attacchi mediatici, diffamazioni sistematiche e una resistenza interna feroce segnarono il suo breve mandato, conclusosi tragicamente con un ictus nel 2015, aggravato da un clima di costante tensione e ostilità.
Dopo di lui fu nominato commissario don Sabino Ardito, salesiano, la cui iniziale apertura fu interpretata dai seguaci di Manelli come un segnale di discontinuità rispetto alla linea volpiana. Ne seguì un vero e proprio arrembaggio: lettere, pressioni, richieste di reintegro e una strategia mediatica mirata a ribaltare l’intervento della Santa Sede. Per un tempo, sembrò che quella frangia potesse ottenere terreno.
Ma l’illusione fu breve. Per ironia della sorte — o meglio: per fedeltà alla verità ecclesiale — fu proprio don Ardito, nel 2019, a sospendere a divinis lo stesso p. Manelli, dopo aver constatato con chiarezza non solo la disobbedienza personale dell’iniziatore storico, ma soprattutto la radicalizzazione ideologica dei suoi sostenitori, che avevano fatto del rito tridentino non un’espressione di spiritualità, ma uno strumento di contrapposizione ecclesiale.
La presunta “rinascita” liturgica si rivelò, in realtà, una ferita profonda alla fraternità e alla comunione. Ancora una volta si gridò alla persecuzione. Ma a parlare furono i fatti: quando il Vetus Ordo viene vissuto come bandiera identitaria, anziché come risorsa spirituale nella comunione della Chiesa, finisce per generare divisioni e lacerazioni — non riforma, ma scisma latente.
I preti sposati e l’altra delusione speculare
Non meno risonante è la denuncia dei Sacerdoti Sposati, secondo cui un’altra consultazione — quella pre-sinodale sull’Amazzonia — sarebbe stata ignorata da Francesco. Anche qui, una maggioranza episcopale favorevole, anche qui una decisione diversa, anche qui l’ombra del “complotto”.
Eppure, Querida Amazonía è stata chiara: il Papa ha scelto di non aprire una breccia sulla disciplina del celibato, pur riconoscendo il problema della scarsità dei ministri. La posta in gioco era l’unità ecclesiale e il rischio di creare precedenti destabilizzanti. Una scelta di governo spirituale, non di tattica politica.
Due schieramenti, una sola logica: ideologizzare la delusione
Tradizionalisti e progressisti si specchiano l’uno nell’altro. Entrambi evocano documenti, rivendicano aperture mancate, accusano il Papa di aver agito secondo interessi o pressioni. Ma entrambi dimenticano che la Chiesa non è un’arena ideologica, né un organo burocratico.
È il luogo della comunione, della gradualità, del discernimento spirituale. Non tutto ciò che è desiderabile è necessariamente attuabile. E non tutto ciò che è antico o popolare è automaticamente buono per l’oggi.
Per chi suona il documento
Diane Montagna, con il suo dossier, ha riportato alla ribalta una questione che sembrava chiusa. Ma più che aprire un dialogo, rischia di riaprire una frattura. Non serve una nuova battaglia liturgica. Serve una nuova fedeltà. Non all’estetica del rito, ma al cuore della Chiesa.
Il Papa — chiunque esso sia — non è un arbitro di partiti, ma il garante di una fede che vive di memoria e di profezia, non di nostalgie armate. E se nella Chiesa c’è spazio per il silenzio gregoriano e per le lacrime dei popoli amazzonici, è perché l’Eucaristia — in qualunque rito — non divide, ma unisce. A condizione che non venga usata come strumento di potere.