L’inizio del pontificato di Leone XIV non è stato solo un evento liturgico solenne, ma un manifesto ecclesiale che parla al cuore della Chiesa e interpella le coscienze di un mondo lacerato. Sul sagrato della Basilica di San Pietro, nel giorno della V Domenica di Pasqua, il nuovo Vescovo di Roma ha tracciato con semplicità evangelica e con forza profetica le coordinate del suo ministero: amore e unità.
L’immagine iniziale, il Papa che prega silenzioso davanti al sepolcro dell’Apostolo Pietro, accompagnato dai Patriarchi delle Chiese Orientali, è già una dichiarazione di intenti: una Chiesa che parte dalla memoria viva delle sue radici apostoliche, ma che lo fa in comunione sinodale, riconoscendo la pluralità dei riti e delle storie cristiane come parte costitutiva del suo stesso essere.
E se l’obbedienza dei cardinali e dei laici, delle coppie, dei religiosi e dei giovani ha mostrato il volto plurale del Popolo di Dio, è nell’omelia che si è rivelato lo stile di questo pontificato. Leone XIV non ha usato toni trionfalistici né rivendicazioni identitarie. Al contrario, si è presentato con parole tremanti, “senza alcun merito”, come “un fratello che vuole farsi servo della vostra fede”. E subito ha indicato la via: l’amore che si fa dono, la carità come autorità, la fraternità come forma della Chiesa.
Il cuore del discorso è stato un’esegesi toccante del dialogo tra Gesù e Pietro sulle rive del lago. Non il Pietro del comando, ma il Pietro ferito, che ha conosciuto il fallimento e il perdono. Il Papa ha saputo leggere in quella pagina il senso profondo della guida ecclesiale: non chi detiene potere, ma chi ama “di più”. Chi ha ricevuto misericordia è capace di offrirla. E chi è stato salvato, sa “pascere” non con imposizione, ma con compassione. In un tempo in cui troppi nella Chiesa rincorrono modelli autoritari, Leone XIV ha ricordato che la vera autorità della Chiesa è la carità di Cristo.
Questa parola – carità – è tornata più volte, ma sempre con spessore sociale. Il Papa non ha nascosto le ferite del mondo: guerre, odio, diseguaglianze, sfruttamento, pregiudizi, emarginazione. Ha denunciato un paradigma economico che devasta la Terra e scarta i poveri. Ma non ha usato lamenti. Ha indicato una via: “essere un piccolo lievito di unità”, dire al mondo con umiltà: “guardate a Cristo”, costruire fraternità anche con “le Chiese sorelle, con chi percorre altri cammini religiosi, con gli uomini e le donne di buona volontà”.
In filigrana, si percepisce l’influenza di Papa Francesco, di cui Leone XIV ha evocato la morte e l’ultima benedizione pasquale. Ma l’impronta del nuovo Pontefice si afferma con originalità: un richiamo forte al discernimento comunitario, un’idea di dottrina come “sapienza in cammino”, una Chiesa inquieta che non teme le domande del presente, una visione polifonica, quasi sinfonica, della fede come cammino condiviso.
Al centro, ancora una volta, i poveri. “Vi raccomando di dare la parola ai poveri”, ha detto ai membri della Fondazione Centesimus Annus pochi giorni fa. Anche oggi, nell’omelia di inizio pontificato, ha affermato che “chi nasce e cresce lontano dai centri di potere” non va solo istruito, ma riconosciuto come “attualizzatore” della Dottrina Sociale della Chiesa.
La conclusione – “questa è l’ora dell’amore!” – non è uno slogan, ma un imperativo ecclesiale. Il nuovo Papa chiede una Chiesa che non giudica ma ascolta, che non impone ma accompagna, che non esclude ma include. Che diventa segno e strumento di quella “unità che non annulla le differenze”, ma le armonizza nella comunione.
È un appello chiaro anche alla politica e all’economia globale. Leone XIV ha fatto sue le domande radicali di Leone XIII nella Rerum novarum: “Se questo criterio [la carità] prevalesse nel mondo, non cesserebbe subito ogni dissidio e non tornerebbe forse la pace?”. Parole da rileggere oggi, mentre le guerre devastano il Medio Oriente, l’Ucraina, e le migrazioni sono viste come minaccia e non come ferita da guarire.
Il pontificato di Leone XIV si apre così, non con la rivendicazione di un’autorità, ma con l’indicazione di una direzione: la fraternità. Ed è proprio su questa via che il nuovo Papa invita a camminare, con “tutti”, non per uniformare, ma per riconciliare.
Una Chiesa che non si chiude nella nostalgia né si appiattisce sull’attualità, ma che “si lascia inquietare dalla storia”, per diventare “lievito di concordia”. Perché – come ha detto il Papa – “insieme, come unico popolo, come fratelli tutti, camminiamo incontro a Dio e amiamoci a vicenda tra di noi”.
Una nuova pagina si apre. Sta a noi, Popolo di Dio, scriverla insieme.
Bellissimo articolo. Speriamo che ci sia un cambio di registro nel trend bellicoso della nostra società.