C’è un nuovo volto del tradizionalismo cattolico che interpella la Chiesa. Non più solo quello delle tonache antiche e del latino solenne, ma quello – molto più insidioso – di una fede rigida, selettiva, autoritaria, che si ammanta di verità ma esclude la carità. Una sorta di «massoneria cattolica», per dirla senza timore, che dietro il culto della Tradizione costruisce bastioni ideologici, gruppi chiusi, disobbedienze mascherate da zelo. E non è solo una deriva spirituale: è una sfida ecclesiale che tocca il cuore stesso della fede.

Negli ambienti dove si grida al ritorno della “vera Chiesa”, si osserva un paradosso: mentre si condanna la modernità, se ne assorbono i tratti più pericolosi. Verticalismo, esclusivismo, estetismo liturgico, culto dell’identità e persino l’uso strategico dei media per creare “comunità parallele” alla Chiesa reale. Tutto parla la lingua del potere, non quella del Vangelo.

La verità perduta? No, l’amore scartato

Molti giovani vi si avvicinano affascinati: cercano bellezza, ordine, una fede solida in un mondo che liquefa tutto. Ma ciò che trovano rischia di essere una caricatura della Tradizione. Non il fiume vivo che attraversa i secoli, ma una cisterna stagnante che conserva solo ciò che conferma. Così, l’ordo amoris diventa una scala di merito, la liturgia un test di appartenenza, la dottrina un’arma di selezione.

Il Vangelo, in questo schema, è ancora proclamato, ma non più incontrato. Cristo, ancora invocato, ma non più seguito nella sua umiltà. È il neopelagianesimo spirituale denunciato da Papa Francesco: la presunzione di salvarsi con la purezza rituale e l’osservanza impeccabile. Un cristianesimo senza carne, senza croce, senza ferite.

La tentazione dell’élite

Ciò che impressiona è l’intreccio tra questo spiritualismo rigido e nuove forme di potere elitario. Basti pensare al caso del collettivo Acts 17 nella Silicon Valley, o all’uso di simboli e linguaggi tipici della gnosi: luce, verità custodita, superiorità, ordine. Si delinea un cristianesimo per “illuminati”, dove la salvezza è riservata ai “giusti” – quelli che conoscono, che sanno, che controllano.

Papa Leone XIV, con la sua calma lucidità, ha risposto con una frase teologicamente potente: «L’ordo amoris non è una scala sociale dell’amore, ma una gerarchia della carità che parte dall’umile e va al tutto». In poche parole: la vera Tradizione parte dal basso, non dall’alto; dal ferito, non dal puro.

Una disobbedienza mascherata da fedeltà

Molti di questi gruppi dicono di essere i più fedeli alla Chiesa. Eppure, rifiutano sistematicamente il Magistero, delegittimano il Concilio Vaticano II, demonizzano Papa Francesco e ora anche Leone XIV. Non è amore alla verità, è paura della comunione. Non è difesa della fede, è costruzione di una setta. Una Chiesa alternativa, dove si entra per cooptazione e si resta per conformismo.

Eppure la Chiesa, quella vera, respira solo se è cattolica: cioè universale, inclusiva, sinodale. Come scriveva san Vincenzo di Lérins, la Tradizione autentica “progredisce nella medesima sostanza”, non si fossilizza. E il progresso non è una minaccia: è la fedeltà che si rinnova.

L’antidoto? L’umiltà

Contro questa deriva, l’unico antidoto è spirituale: si chiama umiltà. Quella di una Chiesa che non ha paura della storia, dei poveri, delle ferite. Una Chiesa che non teme di sporcarsi le mani per amore, perché sa che solo dalla croce viene la resurrezione. È questa la Chiesa che Francesco e Leone XIV cercano di servire: non perfetta, ma vera. Non trionfante, ma fraterna. Non custodita nei bastioni, ma viva nei cuori.

Il futuro non è dei puri, ma dei misericordiosi. E la Tradizione che salva è quella che costruisce ponti, non bastioni.