Tra artiglieria e diplomazia, la linea del fronte tra Cambogia e Thailandia si è trasformata nell’epicentro di una crisi regionale che mette alla prova non solo i fragili equilibri bilaterali ma anche la credibilità dell’ASEAN. Un antico contenzioso territoriale, riacceso dal fuoco incrociato e alimentato da nazionalismi incrociati, minaccia di far deragliare la stabilità del Sud-est asiatico, proprio nel momento in cui il mondo guarda all’Asia come nuovo baricentro geopolitico.

Il confine tra Thailandia e Cambogia non è soltanto una linea geografica: è una cicatrice della storia, una tensione latente che, periodicamente, riemerge in forma esplosiva. Gli scontri armati degli ultimi giorni, con il tragico bilancio di 11 civili thailandesi uccisi e decine di feriti su entrambi i fronti, segnalano un ritorno a dinamiche che molti credevano superate nell’Asia sud-orientale pacificata e proiettata verso il futuro. E invece no. Il passato torna a mordere, armato di razzi e nazionalismi.

Il nodo: il tempio e il trauma

Il pretesto? Ancora una volta, il tempio di Ta Moan Thom e, più a nord, l’area contesa intorno al Preah Vihear. Monumenti religiosi khmer trasformati in simboli geopolitici, dove l’identità nazionale si misura in metri di giungla. Qui non si combatte solo per la terra, ma per l’onore, la memoria e, in fondo, la sovranità narrativa. Il tempio è un’icona spirituale e culturale, ma in questo scenario è diventato, come spesso accade nella storia, una pedina militare.

Dietro il ritorno della violenza ci sono due governi in difficoltà, due eserciti con vecchie ruggini e due opinioni pubbliche infiammabili. Da una parte, la Cambogia post-Hun Sen, con il figlio Hun Manet che eredita la guida del Paese e cerca legittimità rafforzando l’unità nazionale. Dall’altra, una Thailandia agitata da turbolenze interne, con un primo ministro sospeso, una società polarizzata e un esercito sempre più protagonista.

I rischi: Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico (ASEAN), credibilità in bilico

Il rischio più grave non è solo la guerra tra due nazioni vicine, ma il fallimento dell’ASEAN. La comunità dei Paesi del sud-est asiatico ha sempre rivendicato il proprio modello di cooperazione pacifica, fondato sul rispetto reciproco e sulla non ingerenza. Ma se oggi non è in grado di mediare efficacemente tra due suoi membri storici, cosa resta della sua autorevolezza?

Il premier malese Anwar Ibrahim, attuale presidente di turno dell’ASEAN, ha invocato il cessate il fuoco e il dialogo. È un atto dovuto, ma che rischia di restare un esercizio retorico se non si accompagna a un meccanismo concreto di dissuasione e risoluzione delle controversie. L’ASEAN ha bisogno di autorità politica, non solo di comunicati stampa.

E le persone?

Mentre i jet volano e i cannoni sparano, 40.000 civili thailandesi sono stati evacuati e migliaia di cambogiani sono in fuga. Famiglie divise, mercati chiusi, stazioni di servizio esplose. È la solita, tragica asimmetria: mentre i governi misurano confini e onori, le vittime sono sempre i più deboli. E la retorica dei “buoni vicini” affonda nel sangue e nel fumo.

Il vero conflitto

Sotto la superficie, questa guerra di confine nasconde uno scontro di modelli: il nazionalismo armato contro il diritto internazionale, il ricatto della forza contro la cultura della pace. È un test anche per l’ONU e la Corte Internazionale di Giustizia, già investite dalla Cambogia per denunciare l’aggressione thailandese.

Ma la verità, come spesso accade in queste guerre a bassa intensità, è ambigua. Entrambe le parti accusano l’altra di aver iniziato. E mentre si discute di trincee e trappole esplosive, la sfida vera sarà capire se c’è ancora spazio per la diplomazia, o se anche l’Asia sud-orientale sta scivolando nel tempo cupo delle guerre “a pezzi”, come le ha chiamate Papa Francesco.

Perché importa

Perché quello che oggi avviene tra Phnom Penh e Bangkok domani potrebbe riguardare altre aree del mondo. Perché il ritorno della guerra territoriale, in tempi di interdipendenza economica e crisi globale, è il segnale di un mondo che arretra. E perché, in fondo, il confine più pericoloso non è quello tra Thailandia e Cambogia, ma tra la memoria e l’oblio: dimenticare le guerre passate è il modo migliore per preparare le future.

In un tempo in cui anche i templi diventano trincee, l’unico vero culto da rinnovare è quello della pace.


Eventi storici sul conflitto di confine tra Cambogia e Thailandia

AnnoEvento
1907Francia e Thailandia firmano un trattato di confine
1954La Thailandia occupa il tempio di Preah Vihear
1962La Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) stabilisce che il tempio appartiene alla Cambogia
2003Rivolta in Cambogia: bruciata l’ambasciata thailandese dopo dichiarazioni di un’attrice
2008–2011Scontri armati tra i due eserciti nei pressi del tempio Preah Vihear
Maggio 2025Un soldato cambogiano viene ucciso da un colpo sparato dall’esercito thailandese
Giugno 2025Trapela una telefonata tra Hun Sen e Paetongtarn Shinawatra → sospensione del premier thai
Luglio 2025Nuovi scontri armati al confine, bombardamenti e crisi diplomatica tra i due Paesi

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