In Sudan sono in atto violenti scontri tra le fazioni del presidente Abdel-Fattah al-Burhan e il vicepresidente filorusso Mohamed Hamdan Dagalo.

Si tratta di due generali che nel 2019 hanno guidato il golpe contro l’ex presidente e dittatore Omar al-Bashir, destituito dopo trent’anni di governo.

La loro alleanza si è frantumata con l’approssimarsi della scadenza prefissata per la transizione democratica.

Pietra d’inciampo è la “riforma delle Forze armate” piuttosto che un dissidio tra militari e popolazione civile.

Al-Burhan cerca di restaurare il vecchio regime con i suoi ex oligarchi, mentre Dagalo, soprannominato anche Hemetti, si sente in debito verso il Cremlino che gli ha fornito supporto militare nel suo passato di comandante della Forza di supporto rapido (Rsf).

Questo grazie ai mercenari della Compagnia Wagner, lo stesso gruppo che sta combattendo in Ucraina e che oggi fagocita le tensioni nel Paese.

La Rsf è vista con sospetto all’interno del Paese per la presenza di islamisti tra i suoi ranghi.

Accelerare il processo di una loro piena integrazione all’interno dell’esercito regolare è come avvicinare un fiammifero alla polvere da sparo.

La Russia dal canto suo ha bisogno di una presenza militare nel Mar Rosso per consolidare la sua influenza nel continente africano.

Il Sudan, inoltre, è ricco di miniere d’oro il cui sfruttamento è funzionale agli interessi di qualunque potenza egemone.

Benché in Sudan non si possa parlare ancora di guerra civile, ma di conflitto tra cleptocrati,

la popolazione potrebbe suo malgrado essere coinvolta.

In un contesto in cui le risorse fossero controllate dai due eserciti e l’accesso ad esse passasse solo attraverso una prova di appartenenza, la militanza anche armata rischierebbe di essere l’unica possibilità di sopravvivenza alternativa all’emigrazione e agli aiuti umanitari (che potrebbero essere bloccati).

Questa situazione vede ancora una volta allontanarsi il desiderio di pace e di democrazia delle popolazioni dell’Africa Orientale per entrare in un tritacarne di sangue e di intrighi internazionali.

Poche e frammentarie sono le notizie in tempo reale per l’assenza significativa di giornalisti a causa dell’evacuazione umanitaria e securitaria ancora in corso.