In una Chiesa che guarda sempre oltre, Papa Francesco ha voluto che anche la sua morte fosse un annuncio di Vangelo: sobrio, essenziale, radicato nella tenerezza di Maria. Non a San Pietro, come consuetudine plurisecolare, ma nella Basilica di Santa Maria Maggiore, ai piedi della Salus Populi Romani, quell’icona tanto amata da ogni pellegrinaggio del suo pontificato.
Una scelta che racconta, forse più di tante encicliche e discorsi, lo stile unico di un Papa che ha voluto “essere pastore con l’odore delle pecore” fino all’ultimo respiro.
È stato il cardinale Rolandas Makrickas a rivelare la storia di questa decisione inattesa. Inizialmente, Francesco aveva negato l’idea di riposare nella basilica mariana. «I papi devono essere sepolti a San Pietro», aveva risposto seccamente il 13 maggio 2022. Ma appena una settimana dopo, il 20 maggio, racconta Makrickas, il Papa cambiò radicalmente idea: «La Madonna mi ha detto: “Preparati la tomba”», confidò. Una voce interiore, una ispirazione mariana che Francesco, devotissimo, accolse senza esitazione.
Il gesto rivela la logica che ha contraddistinto tutto il pontificato: ascoltare il soffio dello Spirito più che i protocolli, seguire la via umile più che i percorsi consueti. La tomba, come ha voluto Francesco, è sobria: una semplice lapide di pietra ligure, quella terra da cui emigrarono i suoi avi, con incisa soltanto una parola, in latino: Franciscus. Nessuna monumentalità, nessuna enfasi trionfale. Solo la croce pettorale – quella degli anni di Buenos Aires – scolpita in rilievo a evocare il pastore povero tra i poveri.
Accanto al luogo scelto – una nicchia laterale, poco distante dalla Cappella Paolina e dall’altare dedicato a San Francesco d’Assisi – resterà visibile la storica lapide che copriva l’antica porta di collegamento con il palazzo apostolico. Una porta che, nel Medioevo, custodiva originariamente proprio l’icona della Salus Populi Romani, madre e custode del popolo di Dio. Nulla accade per caso: Francesco volle vivere la sua fine nel segno di Maria, come all’inizio dei suoi viaggi apostolici, quando pregava davanti a quell’immagine.
La coerenza è impressionante. Come non ricordare la scelta, nel 2013, di non abitare gli appartamenti pontifici ma la Domus Sanctae Marthae? Una preferenza per la vita semplice e condivisa, specchio di una Chiesa in uscita, meno paludata, più evangelica. Ora, anche nella morte, Francesco rifiuta i fasti e torna alle radici: una pietra semplice, una madre che lo accoglie, una comunità di pellegrini e di poveri.
La Basilica di Santa Maria Maggiore, tanto amata dai gesuiti – missionari per eccellenza –, diventa così il luogo dove riposerà il primo Pontefice gesuita della storia. Francesco, il Papa venuto “dalla fine del mondo”, continua ad annunciare, anche dopo la morte, la bellezza di una Chiesa povera per i poveri.
Non è una fine, ma un segno per il futuro. Come ha detto il cardinale Makrickas, «il Papa voleva che la sua tomba parlasse della sua vita». E così sarà: una pietra, una croce, un nome. Tutto il resto, come sempre, è affidato alla misericordia di Dio.