Il 4 luglio, al “Forum in Masseria” condotto da Bruno Vespa, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto che la povertà in Italia non è aumentata. Secondo lei, l’opposizione usa i numeri in modo “sbagliato” per attaccare il governo. Ma è proprio vero che la povertà non è cresciuta? E soprattutto: questo significa che le cose vanno bene?

Vediamo insieme, con parole semplici, cosa dicono i dati ufficiali dell’ISTAT, cioè l’ente pubblico che ogni anno misura quanto stanno bene o male le famiglie italiane.

I numeri veri: 5,7 milioni di poveri

Secondo l’ISTAT, nel 2023 – quindi dopo un anno intero di governo Meloni – in Italia c’erano quasi 5,7 milioni di persone in povertà assoluta, cioè persone che non hanno abbastanza soldi per vivere dignitosamente, anche se magari lavorano. Le famiglie povere erano più di 2,2 milioni. Sono ventimila persone in più rispetto al 2022. E mai, da quando si tengono questi dati (cioè dal 2014), erano state così tante.

L’ISTAT parla di situazione “stabile”. Ma attenzione: stabile vuol dire che siamo ancora fermi al livello più alto mai raggiunto. Non c’è stato un peggioramento drammatico, ma neanche un miglioramento. E questo non è un successo: è un campanello d’allarme.

Lavoro in crescita, ma stipendi bassi e vita cara

Il governo dice che l’occupazione è cresciuta, ed è vero. Ma non basta avere un lavoro per uscire dalla povertà, soprattutto se il lavoro è precario, a tempo parziale o pagato poco. L’ISTAT lo ha scritto chiaramente: i prezzi sono aumentati, quindi anche chi guadagna come prima, oggi riesce a comprare meno. Risultato? Anche con uno stipendio, tante famiglie finiscono sotto la soglia della povertà.

In altre parole: l’inflazione ha mangiato i miglioramenti che ci sono stati nel mondo del lavoro.

La povertà “relativa” e il rischio di esclusione

Ci sono poi altri due tipi di povertà che l’ISTAT tiene d’occhio:

  1. Povertà relativa: quando si spende molto meno della media degli italiani. Anche questa è aumentata nel 2023: quasi 8 milioni e mezzo di persone vivono così.
  2. Rischio di povertà o esclusione sociale: cioè famiglie che hanno redditi troppo bassi, non riescono a pagare le bollette o a lavorare abbastanza. Nel 2024 queste persone erano 13 milioni e mezzo, cioè una persona su quattroin Italia.

Ma quindi: la povertà diminuisce?

No. I dati non danno ragione alla presidente Meloni. Dicono che la povertà non è diminuita. Alcuni indicatori sono peggiorati, altri sono rimasti fermi. Ma nessuno è migliorato davvero.

Dire che la povertà è “stabile” non vuol dire che vada tutto bene. Se una famiglia fa fatica a fare la spesa, a pagare l’affitto, a curarsi o a comprare un paio di scarpe per il figlio, cosa se ne fa delle parole sui dati “stabili”?

Il vero problema: l’Italia si sta abituando alla povertà

Il rischio più grande è che ci si abitui a questa situazione. Che si dica: “Tanto è così, non peggiora, va bene così”. Ma non va bene affatto. L’Italia è un Paese dove il lavoro non sempre basta per vivere, dove aumentano le famiglie che non arrivano a fine mese, e dove chi è povero spesso resta povero per anni.

Non basta vantarsi dei numeri, bisogna fare politiche serie per aiutare chi è in difficoltà: più case popolari, sanità gratuita per chi non ha soldi, scuola pubblica forte, lavoro dignitoso, aiuti mirati alle famiglie numerose.

Conclusione: la povertà non è un numero, è una persona

Parlare di povertà non significa solo fare statistiche. Significa mettersi nei panni di chi non ce la fa: il pensionato che vive solo, la mamma che lavora part-time per occuparsi dei figli, il giovane che non trova un contratto vero, il padre che non può più permettersi di curarsi i denti.

Chi governa ha il dovere di guardare queste persone in faccia, e non solo nei numeri. Perché la povertà non è una questione da talk show, ma una ferita viva nel cuore del Paese. Una ferita che grida non per pietà, ma per giustizia.