La recente separazione della Presidente del Consiglio dei Ministri dal compagno giornalista Andrea Giambruno è stata strumentalizzata a fini politici e pubblicistici. Nel rispetto degli attori è necessaria una riflessione nell’ambito delle scienze della comunicazione.

La favola delle api” di Bernard de Mandeville, ben si addice al tritacarne mediatico nel quale sono entrati Giorgia Meloni e il compagno Andrea Giambruno dopo la notizia della loro separazione.

Ginevra, la loro bambina, tra qualche anno avrà accesso in rete a tutte i commenti e i siparietti creati ad arte da talk show televisivi e tik tok “fai da te” dei sedicenti probi.

La dignità delle persone, la tutela dei minori e il diritto alla buona fama, sembrano contare poco di fronte alla voracità del pubblico guardone.

Non entriamo nel merito degli atteggiamenti viziosi dell’uno e paranoici dell’altra, dove la componente emotiva può prevalere sulla gravitas dovuta invece a chi ricopre un ruolo istituzionale e anche ai suoi familiari più vicini.

Per Giordano Bruno, il personaggio pubblico doveva essere in tristitia hilaris, in hilaritate tristis, cioè allegro nella tristezza e triste nell’allegria.

Nel 2023, sembra impossibile la scissione tra pubblico e privato, tra impegno istituzionale e vita privata, tra poltrone dei palazzi del potere e divertimento personale. 

L’esposizione della vita privata dei politici, tuttavia, non è soltanto l’effetto collaterale di media sempre più pervasivi nell’era dell’infosfera.

L’onestà scientifica rivela come le nuove strategie di costruzione di immagine del leader politico lo espongano all’effetto collaterale del ritrovarsi come “il re nudo” della favola di Andersen.


Oggi, in una sorta di cannibalismo morale, i giornalisti lamentano il fatto di essere strumentalizzati dai politici, mentre i politici criticano il modo in cui sono trattati dai media.

L’uso del privato come strategia politica da parte dei leader soddisfa quattro funzioni: umanizzazione (per cui i politici sembrano più umani, più piacevoli, e di conseguenza apparentemente vicini agli elettori); semplificazione e intrattenimento (un modo per trattare questioni politiche complesse, difficili da spiegare all’elettorato); emozionalizzazione (allo scopo di creare legami emozionali) e, infine, ricerca di notorietà (per stabilire, mantenere e accrescere il loro status di celebrità). 

Esiste quindi un parassitismo reciproco che risponde alla ricerca di visibilità dei politici e alla ricerca di notizie da parte dei giornalisti.

Oggi, i candidati alle cariche pubbliche devono accettare che l’interesse dei media scavi in profondità nella loro sfera privata. 

Ciononostante, gli stessi candidati promuovono attivamente la loro vita privata pianificando le apparizioni con mogli e mariti, bambini, genitori, fratelli e sorelle e… persino animali.

Giorgia Meloni, che intimò ai giornalisti di non esporre il volto della figlia, non ha esitato a servirsi della bambina come dolce compagnia nei suoi viaggi istituzionali, dedicarle twitter o evocarla anche nella sua separazione coniugale.

I politici americani sono abituati all’attenzione pubblica per la loro vita privata, ma gli italiani non sono per nulla da meno.

Già negli anni Trenta, infatti, Mussolini appariva come trebbiatore a petto nudo.

Oggi, il cambio di felpe di Salvini, secondo le circostanze o ancora Berlusconi incollato a Marta Fascina sugli spalti dello stadio di Monza, rivelano una politica che si fa sempre più attraverso il significante.

Gli scandinavi sono rimasti più indietro in questo senso se solo lo scorso anno, la premier finlandese Sanna Marin ha dovuto spiegare, con voce rotta davanti alle telecamere: “Sono un essere umano e anche io a volte desidero gioia, luce e divertimento in mezzo a queste nuvole scure”.

Il primo ministro “era colpevole” per aver partecipato a una festa privata e dovette persino sottoporsi a un test antidroga (risultato negativo) per salvarsi dal feticismo gossipparo provinciale che non permette nulla, neanche divertirsi con degli amici.

Morale e moralismo sono inversamente proporzionali e si basano sul nisi caste, saltem caute (se non castamente, almeno cautamente). 

In una società superficiale, conta solo che nell’apparenza tutto sia perfetto, che si eviti lo scandalo, pena l’ostracismo, come un tempo per il prete di un paesino di provincia. 

È un mondo opulento sovrainformato, che vive nel presente, senza coscienza del passato e prospettiva sul futuro, alimentato dalla sua polemica quotidiana su Twitter, dai facili giudizi di una retorica puritana nemica della complessità.

Il problema però è più grande di quanto sembra.

È un discorso di forma, ma la forma, in democrazia diventa sostanza.

L’uso strumentale della forma, si sa, è un’arma a doppio taglio: si arriva più facilmente al cuore della gente, ma si rischia di aprire un vaso di Pandora senza poterne controllare le conseguenze. 

Una volta che si apre la porta del privato, anche di pochissimo, la gente vuole andare fino in fondo e lo fa senza pietà, sia nei mezzi che nei giudizi e a quel punto, impietosamente, non basta la fedina penale pulita

Anche i politici sono umani e in quanto umani sono complessi contraddittori.

Se non accettiamo questo in un politico, come possiamo accettarlo in un altro o, ancor meglio, in noi stessi?

Come possiamo aspettarci che a esporsi sia una persona infinitamente meno potente, un uomo qualunque? 

La sfera privata gode di assoluta protezione a meno che la persona interessata consenta che venga resa pubblica. 

La personalizzazione della politica è anche un adattamento agli elettori che preferiscono orientarsi verso persone e non verso programmi astratti. 

La personalizzazione è anche usata per distogliere i cittadini da questioni sgradevoli; è una strategia per distrarre il pubblico da temi scomodi, come la Legge di Bilancio di questi giorni. 

Come diceva Max Weber, la perdita della distanza è un peccato mortale per ogni politico. 

Coloro che presentano se stessi come troppo umani e ordinari avranno problemi a fare accettare la loro leadership. 

La “tirannia dell’intimità”, tuttavia, è progredita in modo tale che – come sostiene Richard Sennett – è quasi diventato un atto suicida dire: la mia vita privata è oltre i limiti rispetto alla tua; quello che tu dovresti conoscere sono le mie convinzioni e il programma che io sosterrò.

Il politico che rifiuta di aprire la propria vita privata al pubblico, di conseguenza, sa esattamente che avrà maggiori difficoltà perché sarà visto come inaccessibile o anche arrogante. 

Infine, rimane aperta la questione se i politici mettono a rischio una nuova peculiarità dell’argomentazione politica aprendo la loro sfera privata per la loro immagine in campagna.

Ciò che è certo, citando la Meloni da cui eravamo partiti, è che facendo delle proprie caratteristiche personali e della propria vita privata un tema della campagna, i candidati rischiano che anche i loro oppositori le usino nel dibattito politico. 

È quanto sta succedendo in questi giorni con le iene politiche, ben più graffianti e fameliche di quelle di Striscia la notizia.

L’ego sum donna, madre e cristiana non basta senza il cogito ergo sum cartesiano: penso (innanzitutto) e quindi sono.