L’elezione di Papa Leone XIV (al secolo Robert Francis Prevost) l’8 maggio 2025 non ha avuto soltanto un forte impatto spirituale e simbolico per la Chiesa cattolica. Il suo discorso inaugurale – pronunciato nella giornata della Supplica alla Madonna di Pompei, sotto un cielo romano segnato da pioggia e sole – si configura anche come un documento geopolitico di rilievo. Il suo contenuto, nella sua pacatezza evangelica, rappresenta una chiara presa di posizione sul piano internazionale: la pace, umile e disarmata, è il baricentro del pontificato appena iniziato.
La pace disarmata come alternativa al disordine mondiale
Nel messaggio di Leone XIV, la pace non è semplicemente auspicata: è proclamata come un ordine nuovo da costruire. Le sue parole – “una pace disarmata in una pace disarmante, umile e perseverante” – tracciano una linea di demarcazione netta rispetto al linguaggio muscolare della politica internazionale contemporanea, sempre più segnata da posture aggressive e narrazioni di deterrenza.
Il nuovo Papa non parla come arbitro tra potenze, ma come testimone di una dimensione altra della politica: quella della fraternità globale e del dialogo, in continuità con la Fratelli tutti di Francesco. Lo fa evocando il peso storico del nome che ha scelto: Leone, come Leone I che fermò Attila senza spade, e come Leone XIII, pontefice della Rerum Novarum, che aprì la dottrina sociale della Chiesa all’analisi delle contraddizioni del capitalismo industriale.
Un’ermeneutica del conflitto tra spiritualità e diplomazia
Il discorso non nomina apertamente né Ucraina né Medio Oriente, ma l’evocazione del “male che non prevarrà” e del bisogno di “camminare mano nella mano con Dio e tra di noi” si iscrive perfettamente in una logica di contrasto all’escalation globale. Papa Leone XIV propone un paradigma relazionale fondato sul dialogo, non sul dominio, in una fase storica segnata da tensioni sempre più esplicite tra blocchi (USA-Cina, Russia-NATO, Iran-Israele).
Sul piano della dottrina pontificia, emerge una rilocalizzazione del conflitto globale nella responsabilità morale delle coscienze. La chiamata ai fedeli – “aiutateci a costruire ponti” – è una strategia anti-bellica che parte dal basso: non si tratta di firmare trattati, ma di ricostruire il tessuto umano e relazionale lacerato dalle guerre e dalla propaganda.
Continuità e discontinuità con Francesco
Nel ringraziare Papa Francesco, Leone XIV evoca la “voce debole ma coraggiosa” del suo predecessore che benediva Roma deserta durante il lockdown. È un richiamo forte al gesto del 27 marzo 2020 in Piazza San Pietro: la “benedizione urbi et orbi” nel tempo del virus, immagine potente del pontificato di Francesco come pastore dell’umanità ferita. Leone XIV, in continuità con questo stile, non prende posizione come sovrano, ma come vescovo e fratello: “Con voi sono cristiano, per voi vescovo”.
Tuttavia, la sua formazione agostiniana (a differenza del francescanesimo spirituale di Bergoglio) aggiunge una tonalità più interiore, quasi monastica, alla proposta di pace. Un appello a una rigenerazione profonda delle strutture della convivenza civile, partendo dal cuore dell’uomo.
La geopolitica della misericordia: ponti, non blocchi
Nella fase attuale di nuova guerra fredda, declinata in forma multipolare, l’esortazione di Leone XIV a “unirci per essere un solo popolo, sempre in pace” non è ingenua ma radicale: propone un ordine relazionale che scardina la logica amico-nemico su cui si fonda gran parte dell’attuale strategia delle grandi potenze. In tal senso, l’invito a “costruire ponti con il dialogo e l’incontro” si traduce in una geopolitica della misericordia, che rifiuta lo scontro di civiltà e promuove la diplomazia spirituale.
Questa prospettiva rafforza il ruolo della Santa Sede come “potenza morale” nel concerto internazionale: non un attore neutrale, ma una voce profetica capace di incidere simbolicamente sulle coscienze collettive.
Una Chiesa profetica in tempo di guerra
La scelta del nome Leone e la cornice mariana dell’8 maggio pongono il pontificato di Leone XIV sotto il segno di una Chiesa che non scende a patti con i poteri del mondo, ma li interroga con la forza mite della parola evangelica. Il suo è un pontificato che non elude il confronto con la storia, ma vi entra armato solo della fede e della ragione aperta all’altro.
In un mondo sull’orlo della frantumazione sistemica, Papa Leone XIV ha offerto una bussola spirituale e politica, centrata sulla pace come vocazione, non come tregua. È questo il messaggio che, da oggi, si iscrive nella missione geopolitica della Chiesa.
Chi rideva per la morte di Bergoglio, piangerà lacrime amare. La Chiesa non torna indietro.