“Non possiamo accettare che la nostra società smetta di essere generativa e degeneri nella tristezza”, ha detto Papa Francesco agli Stati Generali della Natalità il 12 maggio 2023.

L’Italia ha registrato lo scorso anno il minimo storico demografico con soli 393 mila nuovi nati.

Esiste una doppia emergenza di cui solo in questo momento la politica sembra davvero interessarsi: la denatalità e il “degiovanimento”.

Il Paese manca di una visione strategica a causa della poca longevità dei nostri governi e la mancanza di cultura di suoi importanti leader.

I sociologi e gli economisti avevano acceso le prime spie rosse da tempo, mentre la Chiesa aveva suonato il suo campanello d’allarme ancor prima.

Ignorati i primi, derisa la seconda, l’attuale governo ha persino iniziato a parlare di preservazione etnica.

Forse nessun popolo in Europa è il risultato di un meticciato come il nostro.

Dalla notte dei tempi la penisola italica è capolinea della via della seta, porto degli arabi, dei fenici e dei magrebini, feudo di Normanni, viceregno di iberici, porta degli Slavi, colonia dei Greci.

Non l’ideologia, ma la prrospettiva demografica deve indurre ad assicurare un ricambio generazionale per un futuro sostenibile in una determinata nazione.

In barba al principio marxista di capitale, terra e il lavoro dell’uomo come fattore di sviluppo, la Sinistra dell’opposizione ha stranamente alimentato, per oltre mezzo secolo, una cultura edonista ed egolatra che ha lasciato poco spazio alla famiglia, considerata un retaggio del passato.

L’eccesso di nostalgia verso i “giovani balilla” vede ora la Destra al governo affrontare la questione, su un tema questa volta accolto bilateralmente.

 C’è un consenso unanime per affrontare il problema cruciale del nostro Paese che, con Spagna e Giappone, contende il primato inverso della maglia nera mondiale della denatalità e dell’invecchiamento della sua popolazione.

Così come dichiara il demografo Alessandro Rosina, in una recente intervista al “Fatto Quotidiano”, le politiche per arginare il declino della popolazione ci sono, ma il tempo sta per scadere. 

Al governo che per primo ha scolpito la natalità nella denominazione di un ministero, spetta ora il compito di evitare all’Italia un malinconico futuro “degiovanito”. 

Non dovrà essere sprecata, soprattutto, la grande occasione del Pnrr.

L’abbondanza di giovani, non sono solo una risorsa economica e produttiva, ma anche culturale e sociale. 

È miope dotarsi solo di politiche rivolte agli anziani così come fu durante il ventennio di Berlusconi.

Si è creduto che i giovani, diminuendo, avessero più facilità a trovare un lavoro, sarebbero stati pagati di più.

Oltre a non fare più figli, i pochi rimasti fuggono all’estero. Non si vedono realizzati qui da noi.

In Italia siamo sotto gli 1,5 figli per donna da circa quarant’anni.

 Siamo più vicini a un figlio per donna che ai due. 

Altri Paesi europei sono riusciti a evitare di calare troppo. Francia e Svezia non sono mai scesi dagli 1,7-1,9, grazie a politiche continuative rivolte alla famiglia, alla conciliazione tra lavoro e figli. 

La Germania intorno al 2006 era scesa sotto il livello italiano, ma poi ha deciso di investire su aiuti economici e servizi per l’infanzia. Così ha invertito la tendenza e ora è sopra la media europea. 

 Negli anni del baby boom c’era una visione positiva del futuro. 

Chi studiava trovava lavoro e chi lo trovava lo conservava a tempo indeterminato. 

È vero che esisteva il voto di scambio e che la Prima Repubblica generò un sistema clientelare e insostenibile, ma paradossalmente c’era più qualità umana.

Oggi abbiamo la più alta percentuale di Neet in Europa, cioè di giovani che non studiano e non lavorano. 

La retorica della famiglia italiana che provvede a tutto e a tutti non ha aiutato. Ha fornito alla politica un alibi per disinteressarsi di problemi che hanno finito per sovraccaricare le famiglie. 

Le pensioni dei genitori e dei nonni compensano il lavoro precario, perduto o inesistente di persone al di sotto dei cinquant’anni.

Ora le generazioni più numerose vanno verso l’età anziana, così crescono le spese pensionistiche e di salute proprio mentre arrivano alla vita attiva le generazioni demograficamente deboli, ma anche più fragili rispetto ai percorsi formativi e professionali. E questo vincola ancor più al ribasso la natalità futura. 

Entro questa legislatura, per prima cosa dimezzare la quota di Neet. Secondo, dimezzare il gap di genere nell’occupazione femminile. Terzo, dimezzare il gap tra figli desiderati e fatti, portando la media italiana sopra la media europea. Sono obiettivi che si sostengono a vicenda e se non li raggiungiamo entro cinque anni non abbiano più speranza di evitare il declino irreversibile.

La popolazione italiana diminuisce anche tenendo conto dei flussi migratori, e ormai gli squilibri generazionali sono tali che non possono essere compensati solo in quel modo. E se le politiche per la famiglia non funzionano, il Paese diventa meno attrattivo anche per l’immigrazione qualificata. 

Ci sono due capitoli che aiuterebbero molto: i servizi per l’infanzia e le politiche attive per il mercato del lavoro. 
Gli asili nido favoriscono la conciliazione tra lavoro e famiglia: pochi nidi, poca occupazione femminile, poca natalità.

La nostra situazione demografica è così compromessa che, anche se portassimo oggi la fecondità italiana a livello francese, avremmo comunque meno nascite rispetto a loro perché abbiamo meno persone in età riproduttiva. Serve dunque un intervento urgente e incisivo. Che non stiamo vedendo. 

Dovremmo portare subito le nostre politiche familiari a livello delle migliori eccellenze europee. 

Quanto dà alle famiglie la Germania? Oltre duecento euro al mese per ciascun bambino nato? 

Da noi l’assegno unico universale ha come base 75 euro. 

La copertura rispetto alla popolazione dei servizi per l’infanzia in Francia e in Svezia è di circa il 50%,.

È lì dobbiamo convergere. 

In Spagna sono riconosciute sedici settimane di congedo di paternità, da noi sono dieci giorni. 

Dopo il lavoro occorre infine ripensare le politiche abitative. 

Next Generation Ue ci dà le risorse, ma siamo ancora troppo timidi o avvezzi a criticare l’Europa anche nelle cose buone.

Non solo per la pandemia, ma anche per l’emergenza demografica, da soli non ce la possiamo fare.