Se Alberto Moravia fosse vissuto oggi, avrebbe tradotto la noia e il vizio che riempie le ore dei nostri giovani con romanzi dark.
Fonte d’ispirazione non sarebbe stata la sua esperienza esistenziale, ma i fatti di cronaca.
Poco tempo fa sono stati rinviati a giudizio quattro giovani che indussero al suicidio una ragazza siciliana dopo aver abusato di lei.

IL CASO

Alice Sghembri (in foto) era una giovane di Agrigento. Aveva quindici anni quando fu costretta a fare sesso con quattro ragazzi.

Purtroppo, fu realizzato anche un video che venne fatto circolare. Dopo due anni da quell’evento, da cui non si era mai risollevata, Alice, in una maledetta giornata volò giù dalla Rupe Atenea di Agrigento.

A ricostruire la violenza fu la squadra mobile di Agrigento che riuscì a recuperare il video dello stupro di gruppo. I quattro violentatori avevano fatto ubriacare la vittima e avevano abusato di lei approfittando delle sue condizioni di inferiorità fisica e psichica.

Nel filmato è evidente il tentativo della adolescente di fermare il branco.

«Non voglio, non posso, vi prego, mi sento male — urlava —. Mi ucciderò».

L’estate si annunciava coi profumi dei fiori e dei frutti della tarda primavera in Sicilia, ma la fanciulla sprofondata in una depressione senza ritorno affidò alla sua pagine Facebook una straziante lettera di addio:

Nessuno di voi sa e saprà mai con cosa ho dovuto convivere da un periodo a questa parte. Quello che mi è successo non poteva essere detto, io non potevo e questo segreto dentro di me mi sta divorando – c’era scritto – Ho provato a conviverci e in alcuni momenti ci riuscivo così bene che me ne fregavo, ma dimenticarlo mai”.

Alice fu vittima di cattiveria, cinismo, indifferenza.

Sa Alice venne lasciata in una bolla di solitudine e di disperazione è però in “buona compagnia” di ragazze che hanno vissuto esperienze analoghe.

Sara (nome di fantasia), tradita dalle amiche e stuprata da 5 ragazzi (due minorenni) in una villetta a Torresina, Primavalle, si è rifugiata in un college esclusivo in Spagna, ma ha tentato il suicidio autolesionandosi.

Gli aggressori erano tutti ragazzi della Roma bene questa volta, figli di manager e professionisti.

Molto clamore ha fatto la scorsa estate il caso di Ciro Grillo, figlio del noto comico e front man fondatore del Movimento Cinque Stelle.

Vizio, noia, soldi e narcisismo.

Ingredienti per vergognarsi ma che invece finivano per somministrare vergogna alle vittime con l’ausilio dei social grazie ai filmati dei telefonini.

ALTRE VITTIME

Storia analoga è quella di Tiziana Cantone.

La donna nel 2016 fu trovata cadavere, con un foulard al collo, nella casa in cui viveva con la mamma, nel napoletano.

La sua morte è sempre stata collegata ai video diffusi sul web – senza che lei lo sapesse – che la ritraevano in pose hot destinate a rimanere private.

I video circolarono su siti porno e lei, inutilmente, cercò di farli rimuovere.

Una situazione che l’avrebbe indotta alla fine a togliersi la vita.

Gli esempi potrebbero continuare con storie anche di riscatto e di impegno sociale come per Dalia Aly che da vittima oggi combatte pubblicamente contro il reato della vendetta del porno (revenge porn).

Oltre le bravate dei ragazzi, infatti, spesso anche persone più mature si vendicano da separazioni mettendo alla gogna mediatica l’ex attraverso pubblicazione di nudi o scene di intimità.

In provincia di Napoli, per vendicarsi della fine della relazione, un cinquantunenne di Pompei aveva aperto un falso profilo Facebook a nome dell’ex compagna, pubblicando foto intime della donna.
L’esposizione alla gogna mediatica delle vittime può produrre conseguenze devastanti.

Quando i video finiscono in pasto ai social possono determinarsi fatti estremi. Il discorso è ampio e delicato, ma in linea generale si possono riportare le fattispecie in questione al cosiddetto Revenge porn, che ha come dato fondamentale la condivisione pubblica di immagini o video intimi tramite Internet, senza il consenso dei protagonisti degli stessi.

LA LEGGE IN ITALIA

In Italia secondo l’articolo 612-ter del Codice penale, foto o video a contenuto sessuale, anche se una persona li inoltra ad un’altra, non possono essere diffusi senza il suo consenso, altrimenti si commette un reato.

La norma è posta a freno di una pratica gravissima salita alle cronache in maniera preoccupante. Spesso per la voglia di vendetta di un ex partner o per la determinazione ad arrecare un danno ad una data persona. E, come abbiamo visto prima, non mancano esempi di donne che si sono tolte la vita per colpa della esposizione alla gogna in Rete.

Le pene sono severe.

È infatti prevista la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro.

Inoltre, la pena può aumentare qualora i fatti siano commessi: dal coniuge (anche separato o divorziato) o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva con la vittima; in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza; attraverso strumenti informatici o telematici”.

Il delitto è punito a querela della persona offesa.

Si procede tuttavia d’ufficio se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

INDICAZIONI DA SEGUIRE

Oltre all’aspetto giuridico occorre agire il più velocemente possibile in caso si cada nella trappola mediatica contattando, prima di tutto e immediatamente, il social network interessato.

Lo scopo è quello di eliminare velocemente le immagini e bloccare l’account della persona che le ha postate. In caso di problemi è poi consigliabile rivolgersi immediatamente a un buon avvocato che verificherà l’opportunità di denunciare l’accaduto all’autorità giudiziaria.

Come consigliano tutti i siti specializzati sarà inoltre fondamentale raccogliere le prove del reato (screenshot dei post, commenti, messaggi ricevuti). Si potrà inoltre verificare sempre con il legale l’opportunità di coinvolgere un esperto informatico che dia una mano dal punto di vista tecnico.

Una cosa è certa in ogni caso: è assolutamente necessario chiedere aiuto, mettendo da parte ogni paura e vergogna. Il prezzo da pagare altrimenti può risultare davvero alto, come tante storie salite drammaticamente alla ribalta dimostrano.

Si parte dai disturbi psicologici fino alla depressione per arrivare alla spinta al suicidio che in più d’un caso – purtroppo – ha trovato tragica concretizzazione.