RECENSIONE Quanto sprechiamo la nostra vita in futilità e sciocchezze, mentre le piccole cose cui dovremmo dar conto, in realtà, risiedono in ben altri dettagli, segreti, celati, remoti, che rendono grande la vita stessa, e permettono di gioire della sua felicità senza fare chissà quale inutile e complessa ricerca!

Compie 22 anni un cult capolavoro della commedia e del cinema francese, “Il favoloso mondo di Amélie” (2001, regia di Jean-Pierre Jeunet), candidato agli Oscar senza vincerne neanche uno, ma trionfante di César e tanti altri meritatissimi riconoscimenti.

Peccato che, ancora oggi, c’è chi scrive di questo lavoro senza averlo capito (scommetterei che non l’abbiano neanche visto a dovere!) che avrebbe rovinato una generazione di adolescenti: è il qualunquistico magazine online “The Vision” che diffonde falsità sulla base di incomprensioni comunicative e sulla definizione di pubblico come soggetto passivo.

Ebbene, nonostante nei primi minuti confonde e distorce un po’ la nostra attenzione un narratore frettoloso che, correndo, illude che tutta l’opera sia appesantita dalla sua voce (cosa che poi non accade, fortunatamente, in quanto lascia spazio a tutti i personaggi, interpretati da attori bravissimi nei loro ruoli pittoreschi e a fungere da pedine della voce registica e “divina” che, di tratto in tratto, si fa sentire senza apparire, componendo una tela ideale dell’esistenza cogliendone la dimensione favolistica), piano piano ci si lascia trasportare dalla velocità tanto del montaggio quanto delle immagini, come se prendesse vita un diario visivo a pieno ritmo sceneggiaturale (i circa sei bruschi stacchi di montaggio sono, per questo, giustificati, ma parzialmente).

Il narratore lascia ben presto spazio ad una vicenda, che è un caleidoscopio di personaggi speciali (ognuno con le proprie caratteristiche e bizzarrie), oggetti, quadri, parole usuali o inusuali, dettagli minimi ma eccezionali come certi eventi, gesti semplici e genuini (si piange quando Amélie aiuta un non vedente per strada spiegandogli ciò che non avrebbe mai potuto vedere, perché si capisce che basta davvero poco per fare davvero tanto), dinamismi e rallentamenti di macchina (tutto in corsa come la fluidità del soffio essenza vitale), e al centro v’è questa ragazza dotata di straordinarie sensibilità e creatività (un’Audrey Tautou perfetta nel ruolo, per cui meglio di lei, iconica, non si sarebbe potuta scegliere altra interprete), che le permettono di gioire delle cose più inaspettate (immersione della mano in un sacco di legumi o tirare dei sassi nel fiume), aiutando gli altri, facendo loro notare quanto possa essere bello ciò che in superficie possa apparire come banalità o “stupida fantasia”.

Amélie ci ricorda che la vita stessa è una favola se colta nella sua intensità e in ognuna delle sue infinite sfaccettature, a cominciare dagli infiniti caratteri di un essere umano, fino ad attribuire un cuore persino ad un carciofo.

Tutte le creature sono animate, anche quelle che comunemente chiamiamo “morte”, perciò ella vede da piccola una nuvola a forma di coniglio in cielo o, tra i molteplici stratagemmi, ne mette in moto uno consistente nell’affidare il nano da giardino complice della chiusura in se stesso di suo padre ad un’amica hostess, facendo poi recapitare al padre stesso foto dell’oggetto inanimato con sullo sfondo diverse città del mondo (Mosca, New York…).

Riuscirà poi a far aprire suo padre e ad invogliarlo a viaggiare come non aveva mai potuto fare, e deciso di fare anche dopo la morte di sua moglie, lutto materno tra i traumi di Amélie da piccola, che incarna così qui un’esistenza bella sebbene tutte le difficoltà e i precedenti.

Perché la vita è bella e non conosce limiti nelle sue evoluzioni, conquiste, nei suoi momenti inaspettati che sorprendono quanto il film che racconta tutto questo: semmai siamo spesso noi a porceli!

Ebbene, nella fattispecie del nano da giardino e di un padre che si chiede come sia possibile che il suo nanetto viaggi e lui no, capiamo come possa bastare poco quanto un umilissimo oggetto per indurci a stravolgere completamente la routine, e che non è vero che in vita contano solo le cose cui danno peso ed importanza gli esseri umani medi: tutto ci parla, l’intero cosmo, ma se ci chiudiamo dentro il guscio di un certo “meccanicismo esistenziale” non possiamo cogliere tutte le sfumature della vita.

Naturalmente, al di là del profondo messaggio (che non è il solo, ma ben o male ruotano tutti intorno ai numerosi interrogativi della vita da cui pretendiamo altre risposte, ma non quelle che poi effettivamente si confermano come vere, e forse perché non la viviamo abbastanza), nella fattispecie del nano e del papà risiede tutta la natura di una commedia dal tipico registro stilistico francese, tendente spesso all’assurdo, divertente a più riprese per il suo tono rocambolesco, ma senza rinunciare a tinte mélo, che nell’atmosfera retrò dei colori della fotografia (alcune scene sono quadretti autentici e raffinati) trovano la loro armonica sintesi per suggellare il senso di quell’amarezza insita non nella vita, ma nella difficoltà di capirla e di viverla davvero come fosse una favola. Perché “la vita è bella, è la realtà che non sopporto” può essere tra gli “status-manifesto” del lungometraggio, perché la vita si dispiega qui, pur tra le mille difficoltà che la caratterizzano, come una semplice e pura favola commovente, comica ed adatta ad ogni età.

È talmente difficile vivere che persino Amélie, che sembrava avere una marcia in più su tutti ed arricchiva l’interiorità sua e di chi incontrava, non aveva capito che per insegnare ad amare la vita occorre prima di tutto amarla. Non basta vivere l’esistenza con intensità, scoprirne i suoi anfratti più segreti ed aiutare gli altri: occorre innanzitutto mettere in pratica quell’oraziano ideale sempre immortale del “carpe diem”, che è un monito a non lasciarsi sfuggire le occasioni quando si presentano, a non pensare troppo ma a lanciarsi se il cuore lo richiede.

Ed è proprio mentre è innamorata che lo capirà, ma grazie all’aiuto (lei, stavolta, lo riceve) da parte dell’ “uomo di vetro”, una delle creature più suggestive e meglio riuscite dell’intera opera, non a caso un pittore che ogni anno realizza una tela di Renoir, restando stupefatto dinanzi ai “misteri” di certi personaggi di quell’universo impressionista che ha fatto parlare dell’artista francese come di “maestro della gioia di vivere”.

Nelle tele di Renoir, infatti, appaiono tutti felici e contenti, ma c’è sempre un personaggio ambiguo, distratto, che chissà a cosa o a chi starà pensando, e non appare come gli altri, ma non c’è dato saperlo: i dialoghi tra lui ed Amélie sull’ostinato perché circa la diversa posa rispetto agli altri di una bambina in una tela dello stesso artista ci riportano ad un aspetto filmico già enunciato prima, ovvero al tentativo perenne dell’umanità di dare delle risposte anche quando non è possibile e non occorre, e ci vuole una come Amélie, che incarna la purezza dell’esistenza nella sua intima essenza, per ricordarci che semplicemente quella bambina nel quadro non è come gli altri, e basta.

“Il favoloso mondo di Amélie” rappresenta con gioco, ironia ed amaro in bocca il microcosmo vitale, e le diverse musiche della colonna sonora, ugualmente intense (una di esse oggi più che popolare), rendono nei toni più disparati le infinite modulazioni: degli incontri che ci possono capitare, dei sogni con cui possiamo fantasticare (spassosa, nel suo essere rocambolesca, la sequenza di immagini sulle previsioni di Amélie del perché il ragazzo che ama non si sia presentato all’appuntamento), degli oggetti con cui possiamo dialogare, degli eventi minimi ma eccezionali che si possono verificare e possono stravolgerci completamente, come successo ad Amélie dopo aver ritrovato una scatoletta con ricordi d’infanzia appartenuta ad un vicino di casa ormai cresciuto e a cui riuscirà a restituirla, consentendogli, attraverso il ricordo del passato piombatogli d’improvviso, di migliorare la qualità del suo presente.

Saranno pure sempre, da quando il mondo è incominciato a quando finirà, “tempi duri per i sognatori”, come si recita in una delle tante belle frasi del film da tatuarsi nell’anima, ma anche per loro, ovvero per tutti, c’è la possibilità di accostarsi ad uno degli infiniti anelli di quella catena che ci tiene avvinti e vivi: la catena umana, per cui nessuno si salva da solo, nemmeno Amélie che aiutava credendo di non aver bisogno di aiuto, e invece…

APPROFONDIMENTO DI RECENSIONE

“Il favoloso mondo di Amélie” termina in bici, in movimento: la vita è in quel famoso continuo divenire del “pànta rèi” di cui parlava il filosofo Eraclito.

Le sequenze si susseguono con rapidità, perché tale riguarda il tramutarsi in azioni dei pensieri di Amélie. Il diario visivo tocca con vivacità e frizzantezza il pubblico.

Con la sua infanzia difficile, Amélie incarna una vita che, nonostante tutto, non smette d’incantare, coniugando la natura di sogni a quella di bisogni dell’anima umana.

Difficile dimenticare un film che buca letteralmente lo schermo sin da subito: il narratore ci fa immergere immediatamente nella storia, partendo dagli albori, dalla nascita di una protagonista che, cresciuta ed in una scena girata in un cinema, parla alla telecamera, a noi, rievocando la tradizione della “Nouvelle Vague”, che è una pagina di storia del cinema mondiale.

La protagonista appare come un felice ossimoro: è voyeurista, ma altruista, e non è la sola a spiare (c’è anche l’ “uomo di vetro” col binocolo che la osserva), riportando subito alla mente un altro capolavoro, stavolta di quel maestro del cinema chiamato Alfred Hitchcock (“La finestra sul cortile”, 1954).

È nell’ambito di questa difficile dialettica che il regista costruisce con sapienza e disinvoltura un personaggio complesso, riuscendo incredibilmente a far lasciare il segno non solo a lei, naturalmente, ma a tutti quanti gli altri, anche chi non pronuncerà mai una battuta: siamo tutti importanti su questa terra, ognuno è particolare nella sua relativa diversità.

“Il favoloso mondo di Amélie” è un esperimento di cinema pienamente riuscito, che parla all’umanità intera da sempre e per sempre, nella sua originale visionarietà, nel suo essere pazzesco tanto quanto la sequela di immagini che paion vorticose del treno che corre in città.

Spesso emergono i contrasti tra la poesia della vita e la sua materialità (si vedano le scene nel sexy shop), cosicché si può dire che a Jeunet piace giocare nel riportare alla ribalta quelle cose, cui un pubblico medio di cinema, pare non averci mai pensato prima. E si ironizza anche su queste, sui discorsi sul tempo, sui modi di dire…

Spesso, infatti, si guardano “film di realtà” o film fantasy, cosicché per i primi si tende ad andare nella direzione del mondo e per i secondi verso una personale astrazione dallo stesso.

Attraverso una cifra surreale ed assurda (due o tre scene, tuttavia, peccano di confusione ed incomprensione, risultando così poco riuscite e fuoriluogo, ma in minima parte) e parlando di esistenza, il regista suscita entrambe le cose in chi guarda, invitandoci così a non discernere in modo troppo rigido le due chiavi della vita, realtà e sogno, perché la favola della vita è tale che saranno per sempre uniti armonicamente i due aspetti: perché la “favola bella” di dannunziana memoria non smarrisce la propria magia, neanche quando noi umani tentiamo di spezzarne l’incantesimo.

E tutti, anche i non sognatori, scopriranno, dopo la visione di questo gioiello della settima arte ed a prescindere dal giudizio che ne daranno, di aver fantasticato almeno una volta anche se non hanno sognato abbastanza.

Perché sono le piccole cose a muovere il mondo, anche se spesso non ce ne accorgiamo, e sono proprio loro a renderlo bello!

Perché la vita, comunque e nonostante tutto, è, e sarà sempre, così…, rinnovandosi di bellezza ogni volta che la si vive, come ogni volta che lo si guarda, questo film. Senza stancarsi mai!

Regia di Jean-Pierre Jeunet.

Con Audrey Tautou, Mathieu Kassovitz, Dominique Pinon, Rufus, Jamel Debbouze.

Produzione: Francia, 2001.

Link al film: https://app.primevideo.com/detail?gti=amzn1.dv.gti.f6bb8be2-35db-b46f-142e-5191a1bafa66&territory=IT&ref_=share_ios_movie&r=web

VOTO: Capolavoro ????????????????????/????????????????????