Mentre la Striscia di Gaza viene metodicamente rasa al suolo e un’intera popolazione vive sotto le bombe, affamata e mutilata, i principali governi dell’Occidente — dagli Stati Uniti all’Italia, dalla Germania alla Francia — continuano a fornire ad Israele i mezzi per proseguire un’operazione militare che ha superato ogni soglia del diritto internazionale. Non è più questione di “difesa”. Non si parla più solo di “lotta al terrorismo”. Siamo di fronte a un’azione sistemica di devastazione urbana, che ha ridotto Rafah a un campo di rovine e ha portato alla morte oltre 35.000 civili, tra cui migliaia di bambini, secondo dati ONU. Eppure, l’Occidente, anziché fermarsi, alimenta la macchina.
Mentre la Striscia di Gaza viene metodicamente rasa al suolo e un’intera popolazione vive sotto le bombe, affamata e mutilata, i principali governi dell’Occidente — dagli Stati Uniti all’Italia, dalla Germania alla Francia — continuano a fornire ad Israele i mezzi per proseguire un’operazione militare che ha superato ogni soglia del diritto internazionale. Non è più questione di “difesa”. Non si parla più solo di “lotta al terrorismo”. Siamo di fronte a un’azione sistemica di devastazione urbana, che ha ridotto Rafah a un campo di rovine e ha portato alla morte oltre 35.000 civili, tra cui migliaia di bambini, secondo dati ONU. Eppure, l’Occidente, anziché fermarsi, alimenta la macchina.
Gli Stati Uniti restano i primi responsabili di questa spirale. Dal 7 ottobre 2023 a oggi, Washington ha garantito a Tel Aviv oltre 18 miliardi di dollari in armamenti, bypassando più volte il Congresso per approvare pacchetti straordinari. Le forniture hanno incluso bombe a penetrazione, razzi, testate, kit JDAM per la guida di precisione e bulldozer corazzati impiegati nelle incursioni urbane. L’ultima tranche di 2,9 miliardi di euro, autorizzata a marzo 2025, ha confermato che il supporto americano non conosce limiti, né pause, anche di fronte a prove di bombardamenti su ospedali e scuole. Le armi USA sono oggi parte costitutiva della devastazione in atto.
Ma non è solo l’America. L’Unione Europea, formalmente impegnata per il rispetto del diritto umanitario, è corresponsabile, in modo più discreto ma altrettanto grave. La Germania ha aumentato nel 2024 le licenze per l’esportazione di armamenti verso Israele, fornendo munizioni e sistemi radar. La Francia, che inizia ora a sollevare qualche dubbio politico, ha autorizzato forniture di tecnologia elettronica e ha partecipato a esercitazioni congiunte. E mentre Paesi come Irlanda e Paesi Bassi chiedono la sospensione dell’accordo di associazione UE-Israele — fondato sul rispetto dei diritti umani — il Consiglio Europeo prende tempo. Nessuna sospensione concreta. Nessuna sanzione. Nessun embargo.
L’Italia, da parte sua, si muove nel solco dell’ambiguità più pericolosa: quella silenziosa. Le aziende italiane — in primis Leonardo S.p.A. — continuano a cooperare con Elbit Systems e Israel Aerospace Industries. Si producono droni, radar, sistemi di comunicazione militare, e si esportano componenti a doppio uso che, una volta giunti in Israele, entrano nel ciclo di produzione bellico. Il Ministero della Difesa ha acquistato negli ultimi anni missili anticarro Spike, co-progettati con Rafael, impiegati nei teatri urbani della Striscia. Le forze aeree italiane partecipano da anni a esercitazioni con l’aviazione israeliana, anche in piena operazione a Gaza. E nessuno, al momento, ha proposto una moratoria o un ripensamento.
L’intero sistema occidentale, dunque, fornisce le armi, osserva gli effetti e resta in silenzio. Né le risoluzioni ONU, né le denunce delle ONG, né la fame usata come tattica militare sono riuscite a infrangere il muro della complicità attiva. I governi preferiscono appellarsi a un presunto diritto alla sicurezza, quando è ormai evidente che questa guerra non ha più un fine politico, né militare, ma solo una logica di cancellazione territoriale e demografica.
Le immagini di bambini senza arti, le testimonianze dei medici internazionali, i campi profughi bombardati non sono più “effetti collaterali”. Sono parte del disegno. E mentre si parla — negli ambienti vicini a Donald Trump — della futura riconversione di Gaza in una zona turistica con resort e campi da golf, sulle ossa dei morti, l’Europa si interroga sul lessico, ma non sulle forniture.
Tutti sanno. I documenti circolano. Le cifre sono pubbliche. Gli impatti sono visibili. Eppure si prosegue. La retorica sulla difesa della democrazia si infrange sul disastro umanitario che l’Occidente non solo non ha fermato, ma ha armato. Non è più tempo di distinguo tra “armi offensive” e “componenti civili”. La guerra di Israele a Gaza è oggi anche una guerra combattuta con tecnologia occidentale, sotto garanzia politica e con legittimazione diplomatica.
Chi oggi tace — o firma contratti — non potrà domani dire di non aver saputo. Gaza è il nostro specchio, e in esso si riflette l’ipocrisia strategica di un sistema che parla di pace, ma commercia guerra. E la storia, come sempre, presenterà il conto.