Alla vigilia dell’incontro con l’Unione Europea, Pechino rompe la tradizione diplomatica e dichiara apertamente: «La Russia non deve perdere la guerra». Un segnale inquietante che svela la strategia cinese: alimentare il conflitto per tenere impegnato l’Occidente, mentre si prepara a contendere all’America il primato globale. L’Europa è chiamata a una risposta chiara, ferma, degna della sua vocazione di pace e giustizia
Nel giorno in cui l’Europa prepara il cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche con la Cina, Pechino getta sul tavolo una dichiarazione sorprendente e inquietante: la Russia non deve perdere la guerra in Ucraina. Non è un’analisi geopolitica, è un atto politico brutale, pronunciato non da una voce di secondo piano, ma da Wang Yi, il veterano della diplomazia cinese, braccio destro del presidente Xi Jinping.
Una dichiarazione così esplicita rompe la prudenza strategica cinese, che da mesi si presenta al mondo come attore neutrale, potenziale mediatore e garante dell’equilibrio globale. Ma la maschera cade. La Cina non è più equidistante: vede la guerra come uno scudo per i propri interessi, una copertura strategica che tiene occupata l’America in Europa, mentre Pechino consolida la propria influenza in Asia e nel Sud globale. È la conferma che il pacifismo di facciata serve a guadagnare tempo.
La guerra che serve a chi non combatte
Il messaggio è chiaro: meglio una guerra lunga e sanguinosa in Europa, piuttosto che un’attenzione concentrata su Taiwan, sul Mar Cinese Meridionale, sull’Africa o sulle rotte artiche. Se Putin dovesse perdere, l’Occidente – temono i cinesi – avrebbe le mani libere per contenere Pechino. E allora meglio che il Cremlino regga. Poco importa se ciò significa la distruzione dell’Ucraina, la morte di civili, la crisi alimentare globale.
Queste parole non sono un cedimento momentaneo, ma una dichiarazione di dottrina, un cambio di tono che preannuncia anche un cambio di strategia: la Cina non vuole la fine del conflitto, non in questi termini. Non finché può usarlo per i propri fini. Non finché l’instabilità diventa uno strumento per contenere i rivali.
Il dialogo in salita
Tutto ciò accade alla vigilia di un vertice che – nelle intenzioni – doveva rilanciare il partenariato strategico tra Bruxelles e Pechino. Ma le premesse sono pessime. Le riunioni preparatorie sono naufragate. Il summit è stato accorciato da due giorni a uno solo. Il presidente Xi Jinping potrebbe anche disertarlo. Il cinquantenario rischia di diventare un requiem.
La Cina vuole coinvolgere l’UE nella sua contro-narrazione al “Trumpismo globale”, ma senza concedere nulla. L’Unione, dal canto suo, chiede equilibrio commerciale, accesso ai mercati, concorrenza leale, ma soprattutto chiarezza sul sostegno cinese alla Russia. Il problema è che, oggi, la chiarezza è arrivata. Solo che non è quella che l’Europa sperava.
Economia e giustizia globale: la lezione da ricordare
La Cina di oggi è un attore globale che usa le interdipendenze per rafforzare la propria egemonia. Le terre rare, le filiere industriali, i veicoli elettrici, il dumping, sono strumenti di una geoeconomia muscolare che risponde più alla logica della potenza che a quella della cooperazione. E nel frattempo, la guerra in Ucraina diventa moneta geopolitica, un peso da scaricare sulle spalle altrui per meglio negoziare altrove.
Per questo il vertice di Pechino deve essere l’occasione per l’Europa di rimettere al centro la sua visione del mondo. Non una visione naïve, ma esigente, capace di tenere insieme i valori e gli interessi. In nome della pace, ma non a qualunque prezzo. In nome del dialogo, ma senza rinunciare alla verità.
Il Papa, Leone XIV, ci ricorda che la pace non è solo assenza di guerra, ma giustizia, verità, libertà e amore. Una pace costruita sulla resa dell’Ucraina non sarebbe una pace, ma un’ipoteca sul futuro. La diplomazia europea deve saper coniugare fermezza e pazienza, coraggio e coerenza. Sapendo che il rispetto nasce non dalla debolezza, ma dalla dignità di chi non svende i princìpi per un barile di terre rare.
La sfida per l’Europa
In questo tempo difficile, la vera forza dell’Europa sarà la sua fedeltà al diritto, alla dignità umana, alla responsabilità globale. Non possiamo permetterci una politica estera che galleggia tra i silenzi e i compromessi. Serve un orizzonte chiaro: non esiste equilibrio senza verità. Non esiste stabilità senza giustizia.
Il mondo multipolare che si sta costruendo rischia di essere una somma di egemonie senza etica. Ma un’altra via è possibile, e l’Europa – se lo vorrà – potrà ancora indicarla. Magari senza illusioni, ma con la schiena dritta. Come chi sa che il dialogo vale solo se si parte dalla libertà e si arriva alla pace, non al cinismo geopolitico.