“I sogni non si vendono”: con questa citazione tratta da C’era una volta il West, si apre il nuovo Trattato firmato da Luciano Vasapollo con Rita Martufi e Mirella Madafferi, intitolato Per una filosofia del divenire storico: dalle necessità all’impossibile. Un testo che invita a guardare alla storia non come a un meccanismo cieco, ma come a un cammino aperto alla speranza e alla responsabilità collettiva, dove la libertà dell’uomo e la giustizia sociale possono ancora scrivere capitoli nuovi.

Nel solco di un pensiero critico sui limiti dell’attuale ordine economico globale, il volume si presenta come uno strumento di riflessione e di azione per quanti, credenti o non credenti, pongono al centro della politica economica la dignità della persona umana, la solidarietà tra i popoli e il bene comune. La logica dell’accumulazione, la finanziarizzazione dell’economia, le nuove forme di sfruttamento e di sorveglianza nei luoghi di lavoro sono, per gli autori, segni di un modello in crisi che non può più essere considerato naturale né definitivo.

Con un linguaggio rigoroso ma accessibile, il trattato analizza le contraddizioni profonde che attraversano il sistema economico attuale: precarizzazione del lavoro, indebolimento dei diritti sociali, marginalizzazione dei popoli, tecnologie utilizzate per il controllo più che per la liberazione. Tutto questo in un contesto globale segnato dalla guerra, dalle disuguaglianze e da una crescente colonizzazione culturale e tecnologica. Qui emerge con forza l’urgenza di una conversione dell’economia, richiamata più volte anche da Papa Francesco: “l’economia uccide”, se non è orientata alla persona e al creato.

Il cuore del volume è un appello alla responsabilità intellettuale e politica. L’uomo non è spettatore della storia, ma protagonista. Gli autori chiedono che si recuperi il ruolo degli intellettuali, dei ricercatori, degli educatori come servitori della verità, non strumenti del potere. Ricordano, come in un moderno Sillabo, che le scelte economiche non sono mai neutre: o promuovono la vita, o la calpestano. La coscienza cristiana, in particolare, è chiamata a discernere e denunciare i meccanismi di esclusione e a promuovere alternative fondate sulla giustizia, la fraternità e la pace.

Il testo pone grande attenzione anche alle relazioni tra i popoli. La cosiddetta globalizzazione, avvertono gli autori, rischia di diventare una mondializzazione del profitto se non è orientata da un’etica della responsabilità e della prossimità. In tal senso, viene sottolineata l’importanza di pensare e costruire economie locali, partecipative e solidali, capaci di restituire ai popoli la sovranità sulle proprie risorse e sulle proprie scelte.

Importante anche la riflessione sull’uso delle tecnologie: nel momento in cui il lavoro umano è ridotto a variabile da sorvegliare, calcolare e controllare, e i dati personali diventano merce, diventa urgente riaffermare la centralità della persona come fine e non come mezzo. La Dottrina Sociale della Chiesa parla chiaro: il lavoro non è solo un mezzo per vivere, ma è parte della vocazione dell’uomo. Nessuna macchina, nessun algoritmo può sostituire la dignità dell’opera umana, né il suo significato comunitario.

Per una filosofia del divenire storico si presenta, in questo contesto, come una chiamata a sperare contro ogni speranza. Non si limita a denunciare, ma propone una via: ripensare il concetto stesso di sviluppo, restituire alla politica economica il senso del limite, costruire alleanze tra popoli per una “transizione giusta” che tenga insieme giustizia sociale, ecologia integrale e pace duratura. È un invito a credere che l’impossibile — la trasformazione di un sistema che produce esclusione, guerra e sfruttamento — sia invece doveroso. È un appello alla coscienza cristiana e civile a non restare neutrale.

Nel tempo della tecnocrazia e del dominio dell’economia disumanizzante, questo libro ricorda che non tutto è perduto, se si ha il coraggio di dire no all’inevitabile e sì alla giustizia. È il “grido della terra e dei poveri” di cui parla Laudato Si’ e che attende ancora risposte. È la voce dei popoli che sognano libertà, non profitto. E quei sogni, come ci ricorda il titolo, “non si vendono”.