Nel cuore di ogni ospedale moderno, il medico si trova spesso a vivere una tensione che va oltre la diagnosi e la cura: quella tra la lealtà all’azienda sanitaria, chiamata a razionalizzare costi e risorse, e la fedeltà al paziente, che nasce dal giuramento di Ippocrate, dal patto fiduciario e, per il credente, dalla coscienza cristiana illuminata dal Vangelo.
Non è raro che nelle riunioni cliniche o nei percorsi terapeutici emerga la logica del rapporto costo-beneficio: chi vale la pena curare? Quali terapie prolungano la vita in modo significativo? Qual è la soglia oltre la quale una cura è ritenuta “futile”? Ma la domanda evangelica ribalta la prospettiva: “Chi è il mio prossimo?” (Lc 10,29).
Il medico tra due fedeltà
Il professionista della salute si muove su un doppio registro: da un lato la programmazione sanitaria – legittima e necessaria – che impone scelte oculate; dall’altro, la vocazione alla cura, che lo pone a contatto con la sacralità della vita umana. È una sfida etica e spirituale: restare giusti nel sistema, ma prossimi nella relazione.
Come afferma il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, «l’amore per la verità deve orientare l’esercizio della medicina» (n. 493). E nella lettera Samaritanus Bonus (2020), la Chiesa ha ricordato che «il malato grave ha diritto a essere accompagnato con compassione, e mai abbandonato».
Il volto dell’anziano
Il banco di prova di questa etica è spesso l’anziano fragile, colpito da più patologie, talora disorientato e solo. Per lui, l’equilibrio tra cure proporzionate e accanimento terapeutico è sottile, ma non deve mai scadere nel “calcolo dell’inutilità”. Ogni anziano, come ogni persona, resta degno fino all’ultimo respiro.
Il caso di Maria
Maria ha 87 anni, è affetta da demenza moderata, frattura del femore e insufficienza respiratoria. L’équipe medica discute l’utilità di un trattamento intensivo. Il figlio chiede un parere al cappellano: «Padre, non voglio che la facciano soffrire, ma neanche che la lascino andare senza uno sguardo umano». Il cappellano si fa ponte tra medicina e Vangelo: incoraggia il dialogo, la sedazione palliativa, la vicinanza. Maria morirà due giorni dopo, con un Rosario in mano e il figlio accanto. Non è “un caso clinico risolto”, ma una persona accompagnata.
Una sfida per la pastorale della salute
Il compito dei cappellani ospedalieri è aiutare pazienti, famiglie e operatori a custodire la speranza nei luoghi del limite. Formare le coscienze, non giudicare, essere prossimi. Quando la medicina è stanca, quando il bilancio pesa, la Chiesa resta madre: una madre che non abbandona.
Come ha detto Papa Francesco, «la misura dell’umanità si raggiunge nel rapporto con la sofferenza e con chi soffre». E nel tempo in cui la tecnologia rischia di dominare sulla relazione, torna urgente una bioetica evangelica, che unisca verità e carità.
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Preghiera del medico nel dubbio etico
Signore,
tu che sei venuto per curare ogni ferita,
donami occhi per vedere ogni paziente come un fratello,
non come un numero o un costo.
Dammi coraggio per scegliere sempre il bene,
sapienza per orientarmi tra protocolli e coscienza,
forza per non arrendermi alla burocrazia
e fede per sentire che anche una carezza può salvare.
Fa’ che ogni cura sia gesto di misericordia,
e ogni fine, in Te, un nuovo inizio.
Amen.