Il caso dell’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco nel 2007, ha recentemente conosciuto una svolta significativa. La Procura di Pavia ha riaperto le indagini, focalizzandosi su nuovi elementi emersi che potrebbero rimettere in discussione le conclusioni precedenti.

Nuovo Indagato e ruolo delle gemella Cappa

Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, Marco Poggi, è stato iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio in concorso. Le indagini si concentrano su una serie di elementi, tra cui un’impronta palmare ritrovata vicino al corpo della vittima, precedentemente considerata irrilevante, ma ora al centro delle nuove analisi .

Un altro elemento chiave è il ritrovamento di un martello in un canale di irrigazione a Tromello, vicino all’abitazione della nonna delle gemelle Paola e Stefania Cappa, cugine di Chiara. Questo oggetto potrebbe essere compatibile con l’arma del delitto, scomparsa dalla casa della vittima al momento dell’omicidio .

Le gemelle Cappa sono tornate al centro dell’attenzione investigativa. Un testimone ha riferito di aver visto Stefania Cappa, in stato di agitazione, entrare nella casa della nonna con un borsone pesante il giorno del delitto. Questo racconto ha portato gli inquirenti a considerare nuovamente il loro possibile coinvolgimento .

La fragilità di una difesa social

E poi, c’è il contesto comunicativo che merita una riflessione. In un caso tanto complesso e doloroso, stona l’approccio della difesa, di Sempio che sembra smarrire il senso della misura e della sobrietà. “La lotta è dura ma non ci fa paura”, scrive l’avvocato della difesa sui social, con tanto di tigrotto disegnato. Sembra una didascalia da zaino scolastico, non da strategia difensiva di un caso di omicidio. Si può comprendere la tensione e l’attaccamento umano, ma ci si aspetta maggiore sobrietà, se non altro per rispetto verso la vittima e verso chi ancora cerca giustizia.

Implicazioni per la famiglia Poggi

La riapertura del caso Garlasco, a quasi vent’anni dal delitto di Chiara Poggi, non può lasciarci indifferenti. Non solo per la brutalità dell’omicidio che scosse il Paese nell’agosto del 2007, ma soprattutto per il coraggio – raro e prezioso – con cui la magistratura sta ora ammettendo, implicitamente, che qualcosa potrebbe non aver funzionato, né allora né dopo. Ed è proprio questa la notizia più rilevante: che la giustizia italiana, per una volta, non mostra solo la sua toga, ma anche la sua coscienza.

Alberto Stasi, ex fidanzato di Chiara Poggi, è stato condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione per l’omicidio. Tuttavia, i nuovi sviluppi potrebbero avere ripercussioni sulla sua condanna. Se dovesse emergere la sua innocenza, si aprirebbe la questione del risarcimento di oltre 800.000 euro che Stasi ha versato alla famiglia Poggi come danno civile .

La domanda che riguarda tutti

Alla fine, resta la domanda di fondo, quella più scomoda ma ineludibile: è peggio avere un colpevole in libertà o un innocente in carcere? In uno Stato di diritto, la risposta non è retorica: l’errore giudiziario è una ferita gravissima, perché lede non solo la persona coinvolta, ma anche la fiducia dell’intero popolo nella giustizia.

Ma attenzione: ciò non significa cedere al giustizialismo inverso. Significa solo che la verità non può mai essere subordinata al desiderio di chiudere in fretta un fascicolo. Meglio dieci domande in più che un errore irreparabile.

Il caso Garlasco, con tutto il suo carico di dolore, di attese e di ombre, ci sta insegnando una lezione: il tempo non cancella la verità, e non c’è prescrizione che tenga per la coscienza di chi cerca giustizia.

Se oggi una parte dello Stato ha deciso di guardarsi allo specchio, con umiltà e determinazione, non possiamo che augurarci che lo faccia fino in fondo. Per Chiara Poggi. Per la giustizia. Per ciascuno di noi.