C’è un appuntamento democratico imminente di cui si parla poco, troppo poco. Sabato 8 e domenica 9 giugno, gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi su cinque quesiti referendari riguardanti il mondo del lavoro e la cittadinanza. Si tratta di referendum abrogativi, promossi da alcune sigle sindacali e associazioni della società civile. Ma nell’opinione pubblica, complice il silenzio di molti partiti e media, rischiano di passare inosservati.
Eppure, le tematiche in gioco toccano da vicino la quotidianità di milioni di persone: si parla di tutele in caso di licenziamento, di contratti a termine, di sicurezza nei luoghi di lavoro, di responsabilità negli appalti e del percorso di cittadinanza per gli stranieri regolarmente residenti.
I cinque quesiti nel dettaglio
I referendum propongono:
- L’abrogazione delle norme del Jobs Act che, in caso di licenziamento illegittimo, consentono solo un indennizzo e non il reintegro nel posto di lavoro.
- L’eliminazione del tetto massimo all’indennizzo per licenziamenti ingiustificati nelle piccole imprese, restituendo al giudice margine di valutazione.
- Il ripristino dell’obbligo di specificare la causale nei contratti a termine inferiori ai dodici mesi, per contrastare l’abuso della precarietà.
- L’estensione della responsabilità per gli infortuni sul lavoro anche al committente, non solo all’appaltatore o subappaltatore.
- La riduzione da dieci a cinque anni del periodo minimo di residenza legale in Italia richiesto agli stranieri per presentare domanda di cittadinanza.
Si può essere d’accordo o meno con i singoli quesiti. Ma ignorarli del tutto, disertare le urne, significherebbe rinunciare a uno degli strumenti più diretti della partecipazione democratica.
Con il SI si metterebbero in atto le riforme per le quali è stato indetto il referendum.
Con il NO rimarrebbe tutto tale e quale.
La partecipazione non è mai neutra
Il referendum è valido solo se viene raggiunto il quorum: il 50% più uno degli aventi diritto al voto. È una soglia alta, ma che richiama ciascuno a un’assunzione di responsabilità. Astenersi non è una scelta neutrale. Anche esprimere un voto contrario, motivato e consapevole, è un contributo al dibattito pubblico. È un modo per esserci, per dire la propria, per incidere su un tema che riguarda la dignità del lavoro, la giustizia sociale e l’inclusione.
I dati dell’Istat parlano chiaro: l’Italia vive da anni una crisi produttiva profonda, con un calo continuo della manifattura, un tasso di occupazione tra i più bassi in Europa, soprattutto tra i giovani e le donne, e una precarietà strutturale ormai radicata. In questo contesto, è legittimo interrogarsi se le scelte fatte finora abbiano davvero rafforzato la società e tutelato chi lavora.
Una questione di responsabilità collettiva
Il referendum dell’8 e 9 giugno, pur non risolvendo da solo la complessità del sistema lavoro e cittadinanza, rappresenta un’occasione per riaprire il confronto su quale modello sociale vogliamo costruire. Partecipare è un gesto civico che riguarda tutti, anche chi è critico o scettico. È un segnale di vitalità democratica, tanto più necessario in un tempo segnato da disillusione e disaffezione.
Mai lasciar decidere ad altri per scelte che riguardano la responsabilità civile e politica.