Mentre a Gaza piovono bombe e i corpi dei bambini vengono raccolti a brandelli, l’Europa preferisce voltarsi dall’altra parte, imbavagliando persino chi osa pronunciare la parola “Palestina” in diretta televisiva. L’ideologia si è fatta tiranna e, nel nome di una falsa neutralità, censura i fatti, legittima la violenza e accompagna in silenzio uno dei più gravi crimini del nostro tempo. Ma il silenzio, di fronte ai diritti umani, è già una complicità.

Tre bambini fatti a pezzi. Non è una metafora. È il bilancio di un solo bombardamento tra i tanti che l’esercito israeliano ha lanciato negli ultimi giorni sulla Striscia di Gaza, nella nuova operazione battezzata con sapore biblico: I carri di Gedeone. Eppure, nella rappresentazione mediatica occidentale, questa realtà sparisce. Non solo per distrazione o cinismo, ma per un preciso meccanismo ideologico che seleziona i fatti secondo un ordine morale predeterminato. Un’ideologia che, come ogni tirannia, si impone col silenzio e la censura.

Il bavaglio europeo e il teatro dell’Eurovision

Che la guerra a Gaza sia stata ridotta a rumore di fondo nei telegiornali europei è ormai evidente. Ma la vicenda dell’Eurovision 2025 rivela qualcosa di ancora più grave: la normalizzazione della censura come forma di “neutralità”.

Quando RTVE – la televisione pubblica spagnola – ha osato trasmettere un messaggio semplice e umano (“Pace e giustizia per la Palestina”), l’UER ha reagito con minacce di sanzioni economiche. I commentatori che hanno ricordato le 50.000 vittime civili di Gaza sono stati ammoniti per violazione delle “regole di apoliticità”. Mentre Israele, che nel frattempo continuava a bombardare ospedali e scuole, è stato accolto sul palco con tutti gli onori.

In un sistema mediatico sano, tutto ciò sarebbe giudicato uno scandalo. Invece, la censura viene presentata come garanzia di imparzialità. È il trionfo dell’ideologia sulla realtà.

La tirannia dell’ideologia

Questa ideologia – che si pretende neutrale, democratica, “liberale” – è in realtà una forma di potere che decide chi ha diritto a essere ascoltato e chi no, chi può piangere e chi deve tacere. Le vittime palestinesi vengono rese invisibili non perché non esistano, ma perché non rientrano nel copione geopolitico dominante.

È un meccanismo perfettamente funzionante: Israele è presentato come Stato “difensivo”, l’Occidente come “garante dell’ordine”, chi denuncia è tacciato di politicizzazione, mentre chi tace viene premiato con credibilità e fondi. E se qualche voce si solleva, come quella di RTVE o della VRT fiamminga, viene subito zittita in nome dell’“unità per la musica”. Il silenzio, insomma, è l’unico linguaggio ammesso.

Ma il punto non è l’Eurovision. Il punto è che un intero apparato culturale e mediatico sta contribuendo a legittimare crimini con il trucco del disinteresse.

I bambini non sono apolitici

Nel frattempo, a Gaza, l’inferno avanza. In pochi giorni, 400 morti, tra cui decine di donne e bambini. Altri 300.000 palestinesi costretti a fuggire. Ospedali bombardati. Interi quartieri rasi al suolo. Ma questo non merita uno “speciale” in prima serata, non è degno di breaking news sui media mainstream. Troppo divisivo. Troppo reale.

Eppure, il corpo di un bambino fatto a pezzi non è politico, è un fatto. La fame imposta da un blocco militare non è un’opinione, è un crimine. Quando l’Europa sceglie di non vedere, non è imparziale: è complice.

Una nuova egemonia mediatica della censura

Quello che sta accadendo è l’instaurarsi di una nuova egemonia mediatica, dove i fatti vengono selezionati in base alla loro compatibilità ideologica con la “linea euro-atlantica”. Chi si oppone alla narrazione dominante – che dipinge Israele come baluardo della democrazia e il popolo palestinese come ostaggio di un’unica rappresentazione terroristica – viene isolato, ridicolizzato, rimosso.

Così, mentre Netanyahu progetta l’occupazione permanente di nuove aree di Gaza, mentre le ONG denunciano l’uso della fame come arma di guerra, mentre l’Onu parla esplicitamente di “rischio genocidio”, le nostre democrazie europee si rifugiano nella complice afasia della “non ingerenza”.

Ma la verità non si cancella. Si insinua, si accumula, esplode. Le immagini censurate oggi torneranno domani come atti d’accusa. I silenzi odierni verranno giudicati. E chi ha fatto finta di non vedere – dai giornalisti embedded ai funzionari delle istituzioni culturali – dovrà rispondere, se non alla storia, almeno alla propria coscienza.

L’ideologia si fa tiranna quando sostituisce la realtà con il racconto. Oggi, in Europa, siamo testimoni e complici di questa sostituzione. Per ogni bambino fatto a pezzi da un drone, c’è una redazione che tace, un presentatore che sorride, una commissione che ammonisce. Ma anche un popolo – quello palestinese – che continua a resistere. Con la vita, con la memoria, con il sangue.

Chi ama davvero la pace, la libertà, la cultura, non può restare zitto. Il tempo dell’indifferenza è finito.