Da Sabato 26 luglio a Domenica 3 agosto 2025, il Pride di Amsterdam sta suscitando particolare attenzione per il tema scelto: l’orgoglio di essere “gay e cristiani”. Un binomio che richiama alla mente questioni complesse e delicate, che meritano ben più di uno slogan, di una parata o di una contrapposizione ideologica. Lungi dal voler giudicare coscienze o intenzioni, occorre tuttavia fermarsi a riflettere sul significato profondo di alcune affermazioni e su come esse vengano percepite dalla società, credente e non.

In una cultura sempre più frammentata e polarizzata, il rischio è quello di moltiplicare gli “orgogli di categoria”, come se ogni minoranza dovesse rivendicare la propria visibilità per legittimare la propria esistenza. Ma dove si pone il limite? Non dovremmo allora, con lo stesso metro, promuovere l’“orgoglio di essere frati”, “orgoglio di essere suore”, “orgoglio di essere preti”? Eppure queste categorie, oggi minoritarie e spesso incomprese, non si prestano a rivendicazioni di piazza né a manifestazioni folkloristiche, ma preferiscono percorsi silenziosi di testimonianza quotidiana, di servizio e di dedizione.

Il problema è certamente più profondo e merita rispetto, non semplificazioni. Il riconoscimento della dignità di ogni persona, inclusa quella con orientamento omosessuale, è un principio irrinunciabile per ogni coscienza cristiana. La Chiesa lo afferma con chiarezza nel Catechismo (§2358): “Devono essere accolti con rispetto, compassione e delicatezza. Si eviterà nei loro riguardi ogni marchio di ingiusta discriminazione.” Tuttavia, accogliere la persona non significa approvare automaticamente ogni comportamento o ideologia ad essa associata.

Il gesuita padre James Martin, nel suo noto impegno pastorale verso le persone LGBT+, ha cercato di colmare la distanza tra mondo ecclesiale e mondo queer con uno stile dialogico, a volte anche provocatorio, ma animato dal desiderio di inclusione e vicinanza. In più occasioni ha ricordato che molte persone omosessuali desiderano sinceramente vivere la loro fede, trovare una casa nella Chiesa, nonostante l’ambiente talvolta ostile o incomprensivo. Tuttavia, lo stesso padre Martin è consapevole che accoglienza non significa legittimazione indiscriminata di qualsiasi istanza o rivendicazione.

È necessario distinguere tra la persona, che conserva sempre la sua dignità anche nell’errore, e l’ideologia, che può essere confusa, dannosa o divisiva. Il principio cristiano “accogliere l’errante ma non l’errore” resta valido: l’errore non definisce l’identità ultima della persona, e nessuna ideologia potrà mai cancellare l’impronta divina impressa in ogni essere umano.

Va inoltre ricordato che la libertà personale, pur sacra e inviolabile sul piano civile, trova i suoi limiti nella tutela del bene comune, nella verità della natura umana e, non da ultimo, nei diritti dei più piccoli. Rivendicare, ad esempio, il diritto ad adottare per ogni tipo di coppia senza distinguere tra i sessi, rischia di eludere il diritto fondamentale del bambino a crescere nell’alterità di genere dei genitori. È una questione di giustizia, non di fede. E su questo tema dovremmo tutti convergere, al di là del credo, della cultura e dell’identità.

La sessualità umana, nella visione cristiana, non è un puro costrutto culturale o un’opzione politica, ma parte della verità dell’uomo e della donna, inscritta nella loro biologia e nella loro vocazione all’amore fecondo e oblativo. Ridurre tutto a una battaglia per “diritti di espressione” rischia di negare la complessità dell’umano. La “cultura del gender”, che contesta la distinzione maschio-femmina, finisce spesso per disprezzare le radici antropologiche del cristianesimo, eppure è proprio il cristianesimo ad aver offerto al mondo l’idea più radicale e rivoluzionaria: che tutti sono figli di Dio, degni di rispetto e destinati alla salvezza.

Non si può chiedere, però, alla società di diventare tutta “arcobaleno”. Ogni proposta ideologica totalizzante, anche quella arcobaleno, rischia di produrre nuove esclusioni, nuove rigidità, nuove intolleranze. È un paradosso: si chiede accoglienza e inclusione ma si delegittima chi propone una visione diversa, magari fondata su millenni di esperienza e di pensiero. La società liquida ha già poca memoria; se le togliamo anche i punti fermi, resterà soltanto il rumore.

Infine, uno sguardo anche ai dati: le statistiche internazionali rivelano che, nelle società occidentali, le coppie omosessuali tendono a essere più instabili rispetto alle coppie eterosessuali. I single gay risultano tra i consumatori più attivi, poiché spesso liberi da vincoli di risparmio e pianificazione familiare. Questi dati non giudicano, ma invitano a riflettere su un modello di vita che non può essere semplicemente assunto come “alternativo” a quello familiare naturale.

In definitiva, l’uomo ha certamente il diritto di vivere secondo coscienza, ma anche il dovere di cercare la verità. Non quella della moda, dell’ideologia o della pressione sociale, ma quella che libera e salva. E questa verità non si manifesta nelle piazze colorate, ma nel cuore che ascolta, nel dialogo sincero, nella testimonianza fedele.

Perché non esiste vero orgoglio senza verità. E non esiste vera libertà senza responsabilità.