Mentre il caso Almasri scuote il governo, con la Procura di Roma che indaga Giorgia Meloni, Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Alfredo Mantovano per il rimpatrio con un volo di Stato del criminale libico ricercato dalla Corte Penale Internazionale, emerge un nuovo fronte che complica ulteriormente la situazione: gli accertamenti dei servizi segreti italiani su Gaetano Caputi, capo di gabinetto della premier.
L’esecutivo risponde con un attacco frontale alla magistratura, tentando di trasformare l’indagine in una battaglia politica. La premier registra un video in cui accusa il procuratore capo di Roma, Giuseppe Lo Voi, e l’avvocato Luigi Li Gotti, autore dell’esposto, di voler destabilizzare il governo. È un tentativo evidente di trasformare l’inchiesta in uno scontro tra politica e magistratura, un copione già visto negli anni di Berlusconi e che ora torna utile per rafforzare la retorica della destra sotto assedio.
Dall’inchiesta giudiziaria alla strategia politica
L’obiettivo del governo è chiaro: non rispondere nel merito, ma delegittimare chi indaga. Il messaggio è costruito per mobilitare la base elettorale e rafforzare la narrativa secondo cui esistono correnti politicizzate nella magistratura che vogliono “abbattere il governo”.
A Palazzo Chigi è Giovanbattista Fazzolari a premere affinché lo scontro con la magistratura diventi esplicito. Il punto non è solo il caso Almasri, ma anche il progetto di riforma della giustizia, che la destra vuole rilanciare con la separazione delle carriere tra giudici e pm. L’indagine della Procura potrebbe diventare un trampolino per accelerare il processo, costruendo il consenso attorno alla retorica della giustizia politicizzata.
Il tempismo è perfetto: mentre si costruisce la narrazione del governo perseguitato, si apre la strada al grande reset della giustizia, con l’ipotesi di un referendum per legittimare la riforma.
L’ombra dell’intelligence: chi ha ordinato il monitoraggio su Caputi?
Ma la vicenda non si esaurisce con il caso Almasri. Nella stessa inchiesta la Procura di Roma scopre che gli 007 italiani hanno monitorato Gaetano Caputi, capo di gabinetto della premier, accedendo ai suoi dati fiscali e catastali. Un’operazione che – secondo la versione ufficiale – sarebbe stata motivata dall’interesse su soggetti che tentavano di influenzare ambienti di governo.
L’indagine dei servizi segreti però non era nota a Palazzo Chigi. Perché il governo non ne sapeva nulla? Chi ha autorizzato le verifiche? Il report dell’intelligence indica un nome: Giuseppe Del Deo, uomo di fiducia del ministro della Difesa Guido Crosetto e vice al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS). Un’informazione che mette in imbarazzo l’esecutivo e alimenta il sospetto di spaccature interne tra le varie anime del governo e degli apparati di sicurezza.
A questo si aggiunge un altro dettaglio rivelato da Repubblica: il procuratore Lo Voi aveva già avuto un contrasto con Mantovano, a cui il governo aveva tolto l’aereo dei servizi con cui si spostava da Roma a Palermo. Una coincidenza che l’esecutivo sfrutta per insinuare che la magistratura stia agendo per ripicca.
Un governo che vuole il controllo totale
Il governo sta cercando di trasformare una vicenda giudiziaria in uno scontro istituzionale per rafforzare il proprio potere. L’idea di un referendum sulla giustizia potrebbe diventare il colpo finale: sfruttare l’indagine per convincere gli elettori che serve una riforma radicale.
Ma il punto centrale resta: l’inchiesta sul rimpatrio di Almasri è un atto dovuto o un’operazione politica? Il governo attacca la magistratura, ma non spiega perché ha deciso di liberare un criminale ricercato per crimini di guerra, torture e stupri. Non risponde sul merito, sposta l’attenzione, costruisce il nemico.
Nel frattempo, resta il sospetto di una guerra interna tra diverse anime dello Stato: da un lato il governo, che punta al controllo della giustizia e dell’intelligence, dall’altro i magistrati e una parte degli apparati di sicurezza che non sembrano allineati con Palazzo Chigi.
Se questa strategia funzionerà o se diventerà un boomerang per la premier, lo diranno i prossimi mesi. Ma una cosa è certa: quello che sta accadendo non è solo una battaglia politica, è una crisi istituzionale che mette a rischio l’equilibrio dei poteri in Italia.