A Bamako non si sono sentiti spari, ma nelle notti tra il 10 e l’11 agosto il silenzio ha avuto il sapore della paura. Una raffica di messaggi su WhatsApp e post sui social ha diffuso la notizia: una cinquantina di ufficiali dell’esercito maliano, fra cui almeno due generali, sono stati arrestati su ordine del presidente di transizione Assimi Goïta. L’accusa è pesante: preparare un’azione di destabilizzazione contro il potere in carica.

Fra i fermati figura anche la generale di brigata Nema Sagara, membro di spicco dello Stato maggiore dell’aeronautica. Le operazioni sono avvenute in più fasi e hanno coinvolto sia la capitale che le principali basi militari del Paese. Secondo fonti interne, si tratta della più ampia “purga” dall’agosto 2020, quando lo stesso Goïta guidò il colpo di Stato che depose il presidente Ibrahim Boubacar Keïta.

Fratture nella giunta

La vicenda non riguarda solo sospetti complotti. È il segnale di tensioni crescenti tra i vertici militari, aggravate dalle divergenze tra gli stessi protagonisti del golpe del 2020. All’interno dell’esercito, alcuni accusano Goïta di concentrare il potere e di marginalizzare figure che avevano condiviso con lui il progetto iniziale di “salvezza nazionale”. Altri contestano la crescente dipendenza dalle forze russe del gruppo Wagner e la riduzione di spazi di dialogo con le comunità locali.

Silenzio ufficiale, messaggi ufficiosi

A tre giorni dagli arresti, Goïta non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche. Le informazioni filtrano attraverso canali ufficiosi, mentre i familiari dei fermati chiedono notizie e garanzie sul rispetto dei diritti fondamentali. Secondo fonti vicine alla giunta, gli arresti sarebbero legati a “prove concrete” di contatti tra alcuni ufficiali e reti straniere ostili, ma nessun elemento è stato ancora reso pubblico.

Un Mali sempre più isolato

La purga avviene in un contesto di crescente isolamento internazionale del Mali, dopo l’uscita dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO) e la sospensione di numerosi programmi di cooperazione occidentali. L’alleanza stretta con Niger e Burkina Faso nel quadro dell’AES (Alleanza degli Stati del Sahel) non basta a compensare il calo degli aiuti e l’instabilità interna.

Intanto, il jihadismo continua a espandersi nelle regioni centrali e settentrionali, colpendo sia civili che forze armate. E mentre la popolazione soffre per insicurezza, inflazione e disoccupazione, la priorità della giunta sembra spostarsi sulla difesa del proprio potere più che sulla protezione dei cittadini.

Il rischio di una nuova spirale

La storia recente del Mali insegna che le divisioni interne all’esercito possono aprire la strada a nuovi colpi di mano, alimentando un ciclo di instabilità che dura da oltre un decennio. La purga di agosto 2025 rischia di trasformarsi in un nuovo capitolo di questa spirale, con conseguenze imprevedibili non solo per il Paese ma per l’intera regione saheliana.