Non c’è stato un solo istante, in questo primo discorso da Papa di Leone XIV al Collegio cardinalizio, in cui lo Spirito non sia stato invocato, riconosciuto, accolto. Inizia così, nel segno della preghiera e della gratitudine, il pontificato del 267° successore di Pietro: con il Pater noster e l’Ave Maria recitati insieme ai cardinali non come preambolo cerimoniale, ma come radice vera di un atto di comunione che vuole accompagnare la Chiesa in un momento storico tanto impegnativo quanto fecondo di grazia.
Il nuovo Papa ha scelto di non sottrarsi alla gravità del tempo presente. Le parole pronunciate durante l’incontro di questa mattina nella Sala Clementina sono impregnate di un duplice slancio: la consapevolezza del peso e la serenità della fiducia. “Un giogo superiore alle mie forze”, ha detto con franchezza Leone XIV, ma anche “una missione nella quale il Signore non lascia solo chi chiama”.
La preghiera come inizio e metodo
È forse questo il primo segnale forte lanciato da Leone XIV: il governo della Chiesa non nasce da calcoli umani o da strategie ecclesiastiche, ma da una fiducia profonda nel primato della grazia. È lo Spirito che guida la barca di Pietro; e l’uomo che la conduce – con i suoi limiti e le sue virtù – è chiamato a custodire questa fiducia, non a sostituirla con strumenti mondani.
L’umiltà sincera del nuovo Pontefice ha subito creato uno spazio relazionale autentico con i cardinali: nessuna distanza, nessun tono di rivendicazione, ma l’apertura a un dialogo fraterno e concreto. È in questa fiducia nella collaborazione – «voi siete i miei più stretti collaboratori» – che si inserisce la seconda parte dell’incontro: una conversazione vera, segno di quella sinodalità che Leone XIV ha già mostrato di voler abitare con naturalezza evangelica.
La forza della continuità nella Evangelii gaudium
Ma accanto alla novità del tratto personale, non sfugge a nessuno la profondità del legame che Leone XIV ha voluto stabilire con l’insegnamento di Papa Francesco. È un’eredità assunta con affetto e chiarezza. Il nuovo Papa ha citato l’Evangelii gaudium non come un testo del passato, ma come bussola ancora viva per il presente e per il futuro: il primato dell’annuncio di Cristo, la conversione missionaria, la sinodalità, il sensus fidei, la cura dei poveri, il dialogo coraggioso col mondo, la centralità della pietà popolare.
Non si tratta di accenni formali. Leone XIV ha voluto radicare la propria visione pastorale in quei “principi del Vangelo” che – ha detto – “da sempre animano e ispirano la vita e l’opera della Famiglia di Dio”. È una linea di continuità esplicita, non di rottura, e che proprio per questo si configura come una conferma del solco tracciato dal Concilio Vaticano II.
Un nome e un compito
Anche la scelta del nome, Leone, non è stata fatta per nostalgia o suggestione. Risuona in essa l’eco di Leone XIII e della Rerum novarum, documento fondativo della dottrina sociale della Chiesa. E ora Leone XIV si propone di affrontare la nuova “questione sociale” nata dalla rivoluzione digitale e dall’intelligenza artificiale, chiedendo che la dottrina sociale della Chiesa diventi ancora una volta bussola per orientarsi in un mondo smarrito sui confini del lavoro, della dignità, della giustizia.
C’è dunque, in queste prime parole del Papa, una visione alta e insieme concreta, che tiene insieme spiritualità e storia, contemplazione e riforma, tradizione e ascolto dei segni dei tempi. Una Chiesa in uscita, ma con radici ben piantate nella comunione e nell’ascolto del Signore che parla nel “sussurro di una brezza leggera”, come ha evocato con intensità il nuovo Pontefice citando il profeta Elia.
Preghiera, unità, coraggio
Leone XIV ha chiesto una cosa semplice e insieme radicale: pregare e collaborare. Ha invitato i cardinali ad accompagnarlo nella missione, ha ricordato che la Chiesa è grembo e campo, che Pietro è e sarà sempre il pescatore fragile e perdonato, che la forza della Chiesa è nella sua unità “non autoreferenziale”, ma aperta e universale.
L’inizio del suo pontificato non ha il tono trionfale dell’annuncio, ma il respiro silenzioso dell’affidamento. Come nella preghiera che ha scelto di condividere all’inizio dell’incontro, Leone XIV si presenta al mondo come uno che sa di non bastare a se stesso, ma che confida nell’aiuto di Dio e nella comunione dei suoi fratelli.
In tempi di grande incertezza e sfiducia, è un segno potente. Perché richiama tutti – vescovi, preti, religiosi, laici – alla sorgente della missione: non noi, ma il Vangelo. Non strategie, ma Spirito. Non ruoli, ma servizio.