La tragedia nella scuola di Graz, con il suo carico di dolore e interrogativi, ha varcato le Alpi ed è giunta fino a piazza San Pietro, trovando eco nella voce di Papa Leone XIV. “Il Signore accolga nella sua pace questi suoi figli”, ha detto il Pontefice, pregando per le vittime e denunciando implicitamente i pericoli di una società che si arma sempre più e ascolta sempre meno i suoi giovani. In un’udienza segnata dal sole e dalla speranza, il nuovo Papa ha intrecciato compassione e Vangelo, parlando del cieco Bartimeo per indicare che si può risorgere anche dai margini della disperazione.

Una tragedia scuote l’Europa, e il cuore della Chiesa si fa prossimo. Graz, Austria: una scuola diventa teatro di violenza, di morte, di sgomento. E mentre le autorità locali cercano risposte, il nuovo Pontefice, Papa Leone XIV, ne raccoglie le lacrime e le riconsegna al cielo sotto forma di preghiera. Al termine dell’udienza generale di oggi, davanti a una piazza San Pietro affollata di speranza e dolore, il Papa ha pronunciato parole semplici e gravide di compassione: “Desidero esprimere la mia preghiera per le vittime della tragedia avvenuta nella scuola di Graz. Sono vicino alle famiglie, agli insegnanti e ai compagni di scuola. Il Signore accolga nella sua pace questi suoi figli”.

Parole che non sono rimaste sospese, ma che hanno preso forma nei volti e nelle storie presenti oggi in Vaticano: come quello dei 32 ragazzi ucraini giunti da Kharkiv, città martoriata dalla guerra, accompagnati da suor Olexia, che ha parlato della loro amica Maria, morta un anno fa, e che avrebbe dovuto essere lì con loro. “Portiamo anche lei, nel nostro cuore. E la gratitudine al popolo italiano, che ci ha permesso questo tempo di pace”.

Ma non è solo la guerra a minacciare i giovani. È un altro tipo di assedio, più silenzioso ma non meno devastante: quello dell’isolamento, della fragilità psicologica, della rabbia non contenuta, della solitudine digitale. A Graz, ancora una volta, la violenza esplosa in un ambiente scolastico ci costringe a guardare dritto negli occhi la crisi della gioventù europea. E lo fa in un Paese, l’Austria, che inizia a vedere riflessa sul proprio volto l’ombra lunga del modello statunitense: l’accesso alle armi reso sempre più facile, una cultura della difesa individuale che si trasforma in minaccia collettiva. La scuola, luogo di crescita e d’incontro, diventa così luogo di sangue. Una ferita che interpella l’Europa, l’educazione, e la coscienza politica.

Leone XIV, pastore con lo sguardo largo della fede e dell’umanità, ha inserito questa tragedia nel cuore della sua catechesi, senza nominarla direttamente, ma facendo vibrare l’eco delle sue parole attraverso la figura di Bartimeo, il cieco mendicante di Gerico. “Cosa possiamo fare quando ci troviamo in una situazione che sembra senza via d’uscita?”, si è chiesto il Pontefice, riflettendo su quell’uomo bloccato dalla cecità e dalla marginalità, ma capace di gridare, di desiderare, di risorgere.

“La guarigione – ha spiegato il Papa – inizia quando si accetta di esporsi, quando si butta via il proprio mantello”. Per Bartimeo, quel mantello rappresentava tutto ciò che lo proteggeva, ma anche ciò che lo bloccava. Per i giovani d’oggi, il mantello può essere l’apatia, l’indifferenza, le false sicurezze di una cultura che promette libertà e offre solitudine. Ma anche per gli adulti, le famiglie, le istituzioni: “non è scontato che si voglia guarire”, ha detto con realismo Leone XIV, mettendo a nudo la fatica di cambiare, di lasciarsi coinvolgere, di scegliere la responsabilità.

Questa catechesi è diventata così una lente spirituale e sociale per leggere ciò che accade: la crisi giovanile, la fragilità educativa, l’inadeguatezza delle risposte repressive, la diffusione incontrollata delle armi. E, insieme, la possibilità di guarigione, che passa dal riconoscere la propria cecità e il proprio bisogno. “Per guardare in alto – ha detto il Papa – bisogna alzare la testa”, e a volte c’è bisogno che qualcuno ci chiami per nome, come Gesù ha fatto con Bartimeo, per ricordarci che possiamo ancora camminare.

Il cuore di Leone XIV è anche latinoamericano, e la piazza lo ha sentito: nella musica delle maracas, nei colori, nel suo sorriso che si è fatto carezza per ogni bambino incontrato tra le transenne. Ma è un cuore universale, che oggi ha saputo accogliere nel medesimo sguardo il dolore di Graz e quello di Kharkiv, le lacrime dei bambini e il silenzio dei contabili, cui ha rivolto un saluto finale, chiedendo loro integrità e giustizia nel servizio alla società.

Il nuovo Papa non offre soluzioni facili. Non accusa, non condanna. Ma, come Gesù, si ferma davanti al grido, si lascia toccare, ascolta e invita: “Portiamo con fiducia davanti a Gesù le nostre malattie, e anche quelle dei nostri cari”. Così ha concluso, prima di lasciare la piazza, Leone XIV. Non una fuga dalle ferite del mondo, ma un’esposizione fiduciosa a esse, con la consapevolezza che la fede vera non ci separa dalla storia, ma ci immerge in essa per guarirla.

Anche Graz, ora, è nel cuore della Chiesa.