Nella festa della Dedicazione della Basilica Lateranense, Papa Leone XIV ha parlato alla Chiesa universale dalla sua cattedrale di Roma. Lo ha fatto con parole che, più che celebrare un monumento, scavano nel cuore stesso dell’ecclesiologia: prima di costruire, ha detto, bisogna scavare. Non basta innalzare muri, servono fondamenta solide, radicate nella “nuda roccia di Cristo”.
L’omelia del Papa, sobria e profonda, ha il tono del cantiere e non del trionfo. È un invito a riscoprire la fatica buona di una Chiesa che non si accontenta di apparire viva, ma vuole esserlo davvero. Leone XIV parla da pastore concreto, erede spirituale di Agostino: sa che la comunità dei credenti può edificare solo se prima purifica il proprio terreno, rimuove l’orgoglio e torna all’essenziale. “Non siate frettolosi e superficiali”, ha ammonito, quasi rispondendo alla tentazione di un’attività ecclesiale impaziente e autoreferenziale.
Il Pontefice ha usato l’immagine evangelica di Zaccheo per indicare la via della conversione: salire sull’albero non per dominare, ma per vedere meglio il Signore. È l’atteggiamento di chi riconosce la propria piccolezza, e proprio per questo può accogliere Cristo che dice: “Oggi devo fermarmi a casa tua”. La Chiesa, sembra suggerire Leone XIV, deve riscoprire questo sguardo umile, non da maestra ma da discepola, capace di lasciarsi toccare e cambiare.
Il Papa ha poi parlato della Chiesa come cantiere, un’immagine che traduce in chiave missionaria il cammino sinodale. Il cantiere non è un laboratorio di opinioni, ma un luogo dove si lavora insieme: tra polvere, rumore e speranza. È il contrario della Chiesa-fortezza. È la Chiesa che si costruisce a partire dalle periferie, nella concretezza della vita ordinaria, senza illusioni di perfezione ma con fiducia nella grazia.
Infine, Leone XIV ha richiamato la liturgia come “bellezza che diventa amore e vita”. Nessuna estetica disincarnata, ma la sobria solennità romana che educa al mistero, che eleva e unisce. Un monito per un tempo diviso da polarizzazioni rituali: la liturgia non è campo di battaglia, ma fonte e culmine di comunione.
Nel suo stile pacato ma deciso, il nuovo Papa sta tracciando un profilo di Chiesa che non teme la profondità. Una Chiesa che non rincorre visibilità o consenso, ma che accetta di scavare anche nel dolore e nella fatica, per fondarsi sulla roccia del Vangelo.
Il Laterano — “madre e madre di tutte le Chiese” — diventa così il simbolo di un cristianesimo che non vive di facciate ma di fondamenta, che non teme di sporcarsi le mani pur di tornare alla sorgente. È questa l’immagine che Leone XIV consegna al mondo: una Chiesa che, prima di essere costruita, si lascia costruire da Dio.
E forse proprio da questa umiltà delle fondamenta — più che da qualsiasi restauro — passa il futuro della fede in Europa.
