“Il nuovo Grande Gioco del XXI secolo si giocherà nell’Artico”: così dichiarava Steve Bannon, stratega di Trump, in un’intervista di febbraio. E come nel XIX secolo l’Impero britannico e quello russo si contendevano l’Asia centrale, oggi Stati Uniti, Russia e Cina proiettano la loro ambizione geopolitica verso le regioni polari. Ma se la corsa si è già accesa da tempo, Washington sembra arrancare sul ghiaccio sottile dell’indecisione.
L’Artico custodisce ciò che il futuro domanderà: rotte marittime più brevi, risorse minerarie strategiche, giacimenti di gas e petrolio, pesca abbondante, basi per il monitoraggio satellitare e postazioni per la guerra futura, anche nello spazio. Eppure, come denuncia Mary Thompson-Jones nel suo libro America in the Arctic, gli Stati Uniti rischiano di perdere questa partita per mancanza di visione, investimenti e coordinamento. Mentre Trump e i suoi alleati agitano il sogno della Groenlandia e la provocazione di un Canada 51º stato, Cina e Russia già si spartiscono scienza, ghiaccio e commercio.
Il sogno americano congelato
Dagli anni della guerra fredda fino alla rete radar DEW Line, passando per l’uso strategico dell’Alaska, gli Stati Uniti hanno mantenuto un ruolo nell’Artico, ma oggi il sistema arranca. La marina militare statunitense è in ritardo su tutto: ha solo due rompighiaccio operativi, porti insufficienti e scarse infrastrutture per operazioni prolungate nel gelo. Le strategie scritte nei documenti del Pentagono non trovano realizzazione pratica.
Eppure Trump, nel suo secondo mandato, sembra voler rimettere l’Artico al centro. Perché tanto interesse per Canada e Groenlandia? La risposta sta nella proiezione geostrategica: il Canada è il retroterra logistico di ogni operazione artica, la Groenlandia è una piattaforma naturale verso lo Spazio e un radar naturale contro Russia e Cina. Non è un caso che la Pituffik Space Base (ex Thule), in Groenlandia, sia considerata una delle più importanti basi spaziali USA. Ecco perché Trump ha definito il Canada “il 51º stato” e ha detto che la Groenlandia sarà americana “in un modo o nell’altro”. Provocazione? Sì. Strategia? Anche.
Russia e Cina: i veri padroni del gelo
La Russia ha fatto dell’Artico la sua arteria vitale. Putin sogna la Northern Sea Route come nuovo canale commerciale euroasiatico: una via dei ghiacci costellata di porti e controllata da una nuova flotta di rompighiaccio militari. Sotto il manto di cooperazioni scientifiche si cela una militarizzazione rapida, con bandiere, radar e sacerdoti ortodossi a rivendicare possesso simbolico e concreto. Il progetto è ambizioso, alimentato da una memoria imperiale e da un bisogno ossessivo di controllo dopo il crollo dell’URSS.
La Cina, pur non avendo territori artici, si è autodefinita “nazione quasi artica” e investe pesantemente in ricerca, miniere, gas e infrastrutture navali. La sua prima stazione scientifica risale al 2004, ma oggi partecipa anche a pattugliamenti con la guardia costiera russa. La collaborazione sino-russa dopo l’invasione dell’Ucraina ha accelerato questa saldatura artica.
La scienza come arma: anche la Marina Militare italiana in gioco
Mentre la Marina degli Stati Uniti arranca, altri attori occidentali tentano di colmare il gap. Tra questi, anche la Marina Militare italiana ha rafforzato la sua presenza scientifica e operativa nell’Artico. In collaborazione con il CNR, partecipa regolarmente alla campagna di ricerca nell’arcipelago delle Svalbard con la nave Alliance, equipaggiata per missioni oceanografiche e acustiche avanzate. L’Italia si posiziona così come partner tecnico affidabile nella NATO, sviluppando capacità di sorveglianza sottomarina, monitoraggio ambientale e simulazioni di guerra in climi estremi. L’obiettivo è duplice: contribuire al monitoraggio dei cambiamenti climatici e rafforzare la sicurezza euro-atlantica nel teatro polare.
I tre attori e il potere del Nord
Per la Russia l’Artico è vita. Per la Cina, opportunità. Per gli Stati Uniti, sfida strategica. Ma l’unico modo per giocare davvero il “Great Game” è non lasciare scoperto il fianco settentrionale.
Come ammonisce Thompson-Jones, gli USA devono tornare a credere nel potenziale dell’Artico: investire in scienza, diplomazia, cooperazione industriale e presenza militare. Occorre ratificare finalmente la Convenzione sul diritto del mare (UNCLOS), rafforzare le alleanze con Canada e Danimarca e non aggredirle con retoriche muscolari. È ora di costruire più porti, nuovi radar, rompighiaccio, stazioni satellitari, droni sottomarini e sensori polari. Non serve comprare la Groenlandia, ma guadagnarsela con cooperazione e visione.
Il Nord è la nuova frontiera. Chi la ignora, rischia di rimanere al gelo.