C’è un filo sottile che collega il 15 agosto del 1950 al 15 agosto del 2025. Allora, nel cuore di un mondo ancora ferito dalla seconda guerra mondiale, Pio XII proclamava solennemente il dogma dell’Assunzione di Maria, affidando all’umanità un segno di speranza che superava le macerie della storia. Oggi, Papa Leone XIV, il primo pontefice americano della storia, ha scelto la stessa cornice liturgica per rilanciare un appello universale alla pace, mentre il rumore delle armi continua a sovrastare il sussurro del dialogo.
Dal balcone di Castel Gandolfo, Leone XIV non ha commentato direttamente l’incontro ad alto rischio tra il presidente statunitense Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin, riuniti in Alaska per discutere della guerra in Ucraina. Eppure le sue parole hanno tracciato un orizzonte chiaro: «Non dobbiamo rassegnarci alla prevalenza della logica del conflitto armato». Un invito a non accettare come inevitabile ciò che, in realtà, è frutto di scelte umane e quindi può essere cambiato.
Il Pontefice ha evocato la memoria di Pio XII e della sua fiducia in un mondo finalmente libero dalla follia delle guerre. Ma, con realismo, ha riconosciuto che oggi «ci sentiamo impotenti di fronte alla diffusione di una violenza sempre più assordante». È il dramma di un’umanità che rischia di abituarsi al male, anestetizzando la propria coscienza fino a perdere il senso del dolore altrui.
Questa consapevolezza si intreccia con la missione personale di Leone XIV, che in soli cento giorni di pontificato ha già cercato contatti diretti con i protagonisti del conflitto: la telefonata con Putin il 4 giugno, i due incontri con Zelenskyy, l’ultimo il 9 luglio. Gesti che non risolvono il conflitto, ma mantengono aperti canali di ascolto, evitando la rottura totale delle relazioni.
Nello stesso giorno, anche il patriarca ecumenico Bartolomeo ha levato la sua voce, pregando affinché il vertice in Alaska porti frutti di pace. È un segno importante: due leader spirituali di Chiese sorelle, pur da contesti diversi, si ritrovano a parlare con lo stesso linguaggio evangelico, chiedendo ai potenti della terra di far prevalere «la giustizia e il rispetto reciproco».
Castel Gandolfo, con la sua quiete e lo sguardo che spazia sul lago Albano, non è solo un luogo di riposo per il Papa. È anche, in questo momento, un osservatorio privilegiato da cui leggere i segni dei tempi. La pace, Leone XIV lo sa bene, non si costruisce solo nelle stanze dei negoziati, ma anche nella preghiera e nella conversione del cuore.
Il riferimento all’Assunta non è stato casuale. Maria, assunta in cielo, è l’icona dell’umanità già redenta, segno della destinazione ultima a cui ogni uomo e ogni donna sono chiamati. Nella prospettiva cristiana, guardare a lei significa rifiutare l’idea che la storia sia condannata a ripetersi nel ciclo infinito delle violenze.
L’appello di Leone XIV, dunque, non è un’analisi geopolitica ma un’indicazione di rotta spirituale: solo riconoscendo l’altro come fratello, e non come nemico, è possibile “disinnescare” la logica distruttiva che alimenta i conflitti. È un compito che riguarda i leader politici, ma anche le comunità, le famiglie, i singoli.
Mentre il vertice di Anchorage si svolge a porte chiuse, la Chiesa apre le sue porte alla speranza. E se il rumore delle armi sembra soffocare ogni altro suono, la voce di Leone XIV — radicata nella tradizione di Pio XII e nella tenacia del Vangelo — continua a ripetere che la pace è possibile, se si ha il coraggio di imboccare la via mariana: mite, perseverante, disarmata.